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Il Cavaliere, la Contessa e il suddetto.
Signore. (Chiamandolo.) |
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Sappiano immantinente, che il lor padron li chiama. |
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Ecco, signor Giacinto, presentovi la dama. |
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Sì, signor, l'ho veduta. Vengano quei villani. (Mostrando sdegno e paura.) |
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Ehi; chiamateli tosto. (Verso la scena) (Sono un pezzo lontani). (Da sé.) |
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Come! con tal disprezzo |
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Con chi? |
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Con quei bricconi, che mi hanno abbandonato. |
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Io temer? di che cosa? |
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Un uom del suo coraggio, non sa che sia spavento. Quel che lo rende umano, quel che avvilir lo puote, È un occhio vezzosetto, bei labbri e belle gote. |
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E tanto è innamorato del volto peregrino, Che per piacervi ancora diventeria Martino. |
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Il vostro cor, signora, svelategli sincero. |
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È troppo presto ancora. |
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Dunque un sì pronunciate. |
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Dunque vi dico un no. |
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Come! A me questo torto! Un no sì chiaro e tondo? Ah, ch'io son per lo sdegno acceso e furibondo. Voi m'ingannaste adunque nel lusingarmi audace; (al Cavaliere.) Una simile ingiuria non vuò soffrire in pace. |
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Non vengono gl'indegni. Ah, saprò da me stesso adoperar gli sdegni. |