Carlo Goldoni
L’apatista

ATTO QUINTO

SCENA ULTIMA

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SCENA ULTIMA

 

Il Conte, Fabrizio e detti.

 

CONTE:

Eccomi qui.

CAVALIERE:

Sediamo. (Tutti siedono.)

FABRIZIO:

(Paion tutti arrabbiati). (Da sé.)

CONTE:

(Mi rallegro). (Piano alla Contessa e a don Paolino.)

PAOLINO:

(Di che?) (Al Conte.)

CONTE:

(Che siate risvegliati). (Come sopra; poi va a sedere dall'altra parte, presso il Cavaliere.)

CAVALIERE:

Conte, non è più tempo che si nasconda il vero,

Più non giova il celarsi; scoperto è il gran mistero.

Nel cuor di vostra figlia so quale amor si aduna...

CONTE:

S'ella non vi vuol bene, io non ne ho colpa alcuna.

LAVINIA:

Voi non sapete ancora... (Al Cavaliere)

CAVALIERE:

Per or datevi pace. (Alla Contessa.)

PAOLINO:

Parlerò io per tutti. (Al Cavaliere arditamente.)

CAVALIERE:

In casa mia si tace. (A don Paolino.)

Da cavalier qual sono, parlar mi sentirete;

E fintanto ch'io parlo, signori miei, tacete.

Conte...

CONTE:

A me non parlate, che inutile sarà.

CAVALIERE:

Voglio parlar con voi.

CONTE:

Parlate: eccomi qua.

CAVALIERE:

Voi colla vostra figlia da me con un pretesto

Questa mane veniste, in apparenza onesto.

Io con vero rispetto e con sincero amore

Accolsi in queste mura la figlia e il genitore.

CONTE:

È vero; e ci faceste un pranzo esquisitissimo.

CAVALIERE:

Ma però...

CONTE:

Quel bodino mi è piaciuto moltissimo.

CAVALIERE:

Posso parlar?

CONTE:

Parlate.

CAVALIERE:

La mia sincerità

Veggo mal corrisposta.

CONTE:

Vi è qualche novità?

CAVALIERE:

S'introduce un amico...

PAOLINO:

L'amico è un uom d'onore. (Al Cavaliere)

CAVALIERE:

Ora con voi non parlo. (A don Paolino.)

CONTE:

Zitto. (A don Paolino.)

LAVINIA:

(Mi trema il core). (Da sé.)

CAVALIERE:

Un amore segreto si nutre e si coltiva?

Destasi un'altra fiamma, quando la prima è viva?

Simile trattamento non dee andar senza pena.

Le mie risoluzioni...

CONTE:

A che ora si cena? (Al Cavaliere, che mostra impazientarsi.)

PAOLINO:

Signor, che pretendete? (Al Cavaliere.)

CAVALIERE:

Vi sarà noto or ora. (A don Paolino.)

LAVINIA:

L'onor mio non s'offenda.

CAVALIERE:

Chetatevi, signora.

CONTE:

Zitto. (Alla Contessa.)

CAVALIERE:

Un zio generoso amando i suoi nipoti,

Di renderli felici spiega morendo i voti.

Ordina i lor sponsali, e per sfuggir le liti

Brama che i di lui beni possan godere uniti.

Obbedire vorrebbe la dama al testatore,

Ma al bel desio contrasta un radicato amore;

Sforza il cuore all'azzardo, vien vigorosa e franca,

Vuol superar l'affetto, ma il suo valor poi manca.

Del nuovo sposo il volto forse non spiace ai lumi,

Ma al cuor di molle tempra dispiacciono i costumi.

Ella brama un amante tenero e lusinghiero,

E un cavalier ritrova, che colle donne è austero.

Di superar procura quest'avversion fatale,

Ma dell'amante in faccia la sua ragion non vale.

Abbastanza, Contessa, giustificata or siete,

Ma il cavalier... (Verso don Paolino, mostrando sdegno.)

PAOLINO:

Signore... (Al Cavaliere.)

CAVALIERE:

Io vuò parlar. (A don Paolino, con finto sdegno.)

CONTE:

Tacete. (A don Paolino.)

CAVALIERE:

Il cavaliere amante, per gelosia venuto

Del rival fra le soglie, soffrir non ha potuto.

E nell'atto di perdere l'amabile tesoro,

Disse alla sua diletta: io vi abbandono e moro.

Le follie degli amanti so che orribili sono;

Il suo destin compiango, e la follia perdono.

Quello di cui mi lagno, che merita vendetta,

Quello che risarcire all'onor mio si aspetta,

Conte... (Affettando sdegno.)

CONTE:

Non ne so nulla.

CAVALIERE:

È la rea diffidenza,

Con cui ad un amico negar la confidenza.

Perché non isvelarmi il loro cuore oppresso?

Avrei le brame loro sollecitate io stesso.

Perder temea la dama del testamento il frutto?

Se la metà non basta, son pronto a ceder tutto.

Si può con un accordo render comune il danno;

Il zio non ha creduto di rendersi tiranno,

Ed io che non coltivo un animo rapace,

Non curo le ricchezze a costo della pace.

Quello che non si è fatto, facciasi pur, se vuole,

E rispondano i fatti al suon delle parole.

Ma pure una vendetta al torto che mi han fatto,

Conte, ve lo protesto, vuò fare ad ogni patto.

Io che mai per costume son solito adirarmi,

Questa volta lo sdegno mi sforza a vendicarmi.

Ecco la mia vendetta. Quegli occhivezzosi (tenero, affettato),

Che i cuori più inumani pon rendere amorosi,

Quelle guance vermiglie, quel bel labbro ridente,

Sappian che del suo bello non me n'importa niente.

Sia certa la Contessa, che qual l'avrei veduta

Senza passion mia sposa, l'ho senza duol perduta.

E se è ver, che la donna pretenda essere amata,

Colla mia indifferenza l'ingiuria ho vendicata.

LAVINIA:

L'insulto che mi fate, è di una dama indegno. (S'alza.)

Sentomi ch'io non posso più trattener lo sdegno.

CAVALIERE:

Contessa, i sdegni vostri di provocar tentai;

Se mi riuscì l'impresa, son vendicato assai.

Perdonate, signora; quel che scherzando ho detto,

Non scema al grado vostro la stima ed il rispetto.

E quella indifferenza, che agli occhi vostri ostento,

Sdegno non la produce, ma il mio temperamento.

Con voi non sono irato, finsi così per gioco:

Godo d'aver io stesso scoperto il vostro foco.

E se don Paolino di vero cuore amate,

Sian le nozze concluse, e a consolarvi andate.

LAVINIA:

Quasi rider mi fate.

CAVALIERE:

Ride quel bel bocchino!

Come si sente il core, signor don Paolino?

Ma con voi mi scordavo, che vendicarmi or resta:

Giovine sconsigliato, la mia vendetta è questa.

Ospite qua veniste con mascherato amore,

Vi accompagni partendo il rimorso, il rossore.

PAOLINO:

Deh perdonate, amico...

CAVALIERE:

Per me vi ho perdonato;

Provai non poca pena a fingermi sdegnato.

Le pazzie compatisco d'un violento affetto,

E che mi guardi il cielo da un simile difetto.

Ma il conte Policastro, che venne unitamente

A tramar quest'insidia...

CONTE:

Amico, io non so niente.

CAVALIERE:

Merita che si fulmini contro di lui la pena.

CONTE:

Cosa volete farmi?

CAVALIERE:

A letto senza cena.

CONTE:

No, per amor del cielo.

CAVALIERE:

Orsù, siete contento

Per la vostra figliuola di questo accasamento? (Al Conte.)

CONTE:

Basta non vi sian liti.

CAVALIERE:

Liti non vi saranno:

Le cose in buona pace fra noi si aggiusteranno.

Son cavalier d'onore, vi do la mia parola.

LAVINIA:

Che dice il signor padre?

CONTE:

Fate pur voi, figliuola.

CAVALIERE:

Via, datevi la mano. Siam qui Fabrizio ed io;

Noi sarem testimoni. (Alla Contessa e a don Paolino.)

FABRIZIO:

Quest'è l'uffizio mio.

PAOLINO:

Contessa mia.

LAVINIA:

Son pronta.

PAOLINO:

Ecco la man.

LAVINIA:

Prendete. (Si danno la mano.)

CAVALIERE:

Siete moglie e marito. Ora contenti siete.

Per voi non vi è nel mondo maggior felicità;

Io credo esser felice vivendo in libertà.

Godon talora i sposi, talor vivono in duolo:

Io son sempre lo stesso, godendo di star solo.

E parmi di godere assai perfettamente

I beni della vita, se sono indifferente.

Sia amica la fortuna, siami contraria e trista,

Nel mal, come nel bene, io sono un Apatista.

Altro ben che la pace, altro piacer non v'è;

Uditori cortesi, ditelo voi per me.

 

 

Fine della Commedia

 

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