Carlo Goldoni
Aristide

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SCENA PRIMA

 

Cortile reale con fontana.

 

Aristide e Carino che dorme.

 

ARIS.

Sei amor, sei timor, tu che mi guidi

Nell'empia reggia a riveder la sposa?

Mille della sua fede

Prove mi dié. Ma prigioniera oppressa,

Temo che la sua non sia la stessa.

Scoprasi dunque... Ma che miro! Al suolo

Prosteso il servo mio riposa in pace?

Ehi, Carino, Carino.

CAR.

Chi mi sveglia? Il demonio? Oh me meschino!

ARIS.

Perché fuggi così?

CAR.

Ahi, che mi sento

L'anima distillar per lo spavento.

ARIS.

Non mi conosci ancor? Son io pur quello...

CAR.

Vattene per pietà, demonio fello.

ARIS.

Son pur quel tuo padron...

CAR.

Il mio padrone

È Aristide di Grecia, e non Plutone.

ARIS.

Aristide son io.

CAR.

Lasciate un poco

Che meglio vi contempli. Agli occhi, al naso,

Alle spalle, alla vita, ai piedi, al tergo,

Alla voce senz'altro io vi discerno.

Adunque morto siete,

E lo spirito vostro andò all'inferno.

ARIS.

No, che vivo son io.

Questi neri colori

Son da me finti ad arte,

CAR.

Per qual cagion?

ARIS.

Per iscoprir la fede

Della consorte mia.

CAR.

Male, malissimo.

Vi ponete, padrone, a un gran cimento.

Chi sapere e veder troppo desia,

Spesso discopre quel che non vorria.

ARIS.

Dimmi, sei noto al re?

CAR.

Sì, mi conosce

Per un servo d'Arsinoe.

ARIS.

Eccolo appunto.

Guarda non mi scoprir; con la tua morte

Pagheresti il delitto. (si ritira)

CAR.

Non temete, signor, ch'io starò zitto.

 

 

 


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