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FERDINANDO: O di casa. Si può venire? (Di dentro.)
COSTANZA: Venga, venga, è padrone. (Verso la scena.) Il signor Ferdinando. (A Rosina.)
ROSINA: Che vuol da noi questo seccatore?
COSTANZA: Non lo sapete? È uno che si caccia per tutto; e bisogna fargli delle finezze, perché è una lingua che taglia e fende.
ROSINA: Corbella quella povera vecchia, che è una compassione.
FERDINANDO: Servo, signore, padrone mie riverite.
FERDINANDO: Cospetto! che bellezze son queste?
FERDINANDO: Ma siete così sole? Non avete compagnia, non avete nessuno?
COSTANZA: Questa mattina non è ancora venuto nessuno.
FERDINANDO: E il signor dottore non è ancora venuto questa mattina?
COSTANZA: Non signore, è in Maremma a fare una visita.
FERDINANDO: E il dottorino in erba non si è veduto?
COSTANZA: Non ancora.
FERDINANDO: Gran bel capo d'opera è quel ragazzo! Ma, oh diavolo! non mi ricordava ch'è l'idolo della signora Rosina. Scusatemi, signora, voi siete una giovane che ha del talento; non credo che la parzialità vi possa dare ad intendere, ch'egli sia spiritoso.
ROSINA: Io non dico che abbia molto spirito; ma non mi pare che sia da porre in ridicolo.
FERDINANDO: No, no, ha il suo merito, è di buona grazia. (Il secondare non costa niente).
COSTANZA: Signor Ferdinando, volete che vi faccia fare il caffè?
FERDINANDO: Obbligatissimo. La mattina non lo prendo mai.
COSTANZA: Avrete preso la cioccolata.
FERDINANDO: Sì, una pessima cioccolata.
COSTANZA: E dove l'avete avuta così cattiva?
FERDINANDO: Dove sto, dal signor Filippo. Un uomo che spende assai, che spende quello che può e quello che non può, ed è pessimamente servito.
ROSINA: Oggi siamo invitate a pranzo da lui.
FERDINANDO: Sì, vedrete della robaccia; della roba, se siamo in dodici, bastante per ventiquattro, ma senza gusto, senza delicatezza: carnaccia, piatti ricolmi, montagne di roba mal cotta, mal condita, tutta grasso, carica di spezierie; roba che sazia a vederla, e non s'ha un piacere al mondo a mangiarla.
COSTANZA: Per dir la verità, ieri sera dal signor Leonardo ci hanno dato una cena molto polita.
FERDINANDO: Sì, polita se voi volete. Ma niente di raro.
COSTANZA: C'erano de' beccafichi sontuosi.
FERDINANDO: Ma quanti erano? Io non credo che arrivassero a otto beccafichi per ciascheduno.
ROSINA: Io mi sono divertita bene col tonno.
FERDINANDO: Oibò! era condito con dell'olio cattivo. Quando non è olio di Lucca del più perfetto, io non lo posso soffrire.
ROSINA: Oh! vedete chi viene, signora zia?
FERDINANDO: Ho ben piacere che venga il signor Tognino.
COSTANZA: Vi prego, signor Ferdinando: quel povero ragazzo non lo prendete per mano.
FERDINANDO: Mi maraviglio, signora Costanza, io non sono capace...
ROSINA: Perché poi chi volesse dire del signor Ferdinando colla sua vecchia, se ne potrebbono dir di belle.
FERDINANDO: Lasciatemi star la mia vecchia, che quella è l'idolo mio. (Ironicamente.)
COSTANZA: Sì sì, l'idolo vostro, ho capito.