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Fermo, cameriere di donna Livia, e detti.
FER. Signora, il signor marchese d’Osimo. (a donna Livia)
CO. BRA. (Ecco un mio rivale). (da sé)
LIV. È padrone. (Anche costui mi secca). (da sé)
GUGL. (Or ora viene qualche principe, qualche duca). (da sé)
FER. Signore, servitor suo. (a Guglielmo, mettendo una seggiola vicino a lui)
GUGL. Mi pare, ma non mi sovviene.
FER. Non si ricorda a Roma, che abbiamo servito insieme?
AUR. (Come?) (da sé)
GUGL. Servito? Dove? In qual maniera?
FER. Sì signore, io era cameriere, ed ella era segretario.
GUGL. Da servire a servire vi è della differenza.
LIV. Andate a rispondere all’imbasciata del signor Marchese. (a Fermo)
FER. (Vuol fare il cavaliere, e anch’egli mangiava il pane degli altri). (da sé, e parte)
AUR. Colui deve sbagliare; non vi conoscerà.
GUGL. Non signora, non ha sbagliato, dice la verità. A Roma ho servito da segretario. Partii dalla patria per i disordini della gioventù. Andai a Roma per mio diporto; finché ho avuto denari, me la sono goduta; terminati questi, ho principiato a far de’ lunari. Non sapeva più come andar innanzi. Trovai un cavaliere che, conoscendomi, ebbe compassione di me, e l’ho servito da segretario. La carica per altro di segretario, con un cavaliere di rango e di autorità, non toglie, anzi accresce l’onore ed il merito a un giovine nato bene, che voglia esercitarsi per avanzare le sue fortune.
LIV. S’io fossi una signora di rango, esibirei al signor Guglielmo la mia piccola segretarìa.
GUGL. Mi sarebbe di gloria l’onor di poterla servire.