Carlo Goldoni
L'avventuriere onorato

ATTO SECONDO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Don Filiberto solo, poi Guglielmo.

 

FIL. Chi è che scrive? Se ci fosse colui, direbbe: favorisca di aprire, che lo saprà. Non ha tutto il torto però, vediamo: il Marchese d’Osimo. Che dice il signor Marchese mio padrone? Guardatevi dal forestiere che avete in casa. Non sapendosi chi egli sia, è reso sospetto al Governo, e voi siete in vista, prestando asilo ad una persona che può essere macchiata di reità. Rimediate per tempo al pericolo che vi sovrasta, e gradite l’avviso di chi vi ama. Non occorr’altro. Eccolo, lo licenzio in questo momento.

GUGL. Che mi comanda il signor don Filiberto?

FIL. Signor Guglielmo carissimo, vi ho da dire una cosa che mi dispiace infinitamente.

GUGL. Dite pure senza riguardi. Cogli amici non ci vogliono certe riserve.

FIL. Davvero, quasi non so come principiare.

GUGL. Dite su liberamente.

FIL. Vedo che siete un uomo pieno di virtù e di merito, ma io... Oh, quanto me ne dispiace!

GUGL. Via, senza che diciate altro, v’ho capito, e vi risparmierò la fatica di terminar il discorso. Volete dirmi essere ormai tempo che vi levi l’incomodo, e che me ne vada di casa vostra; non è egli vero?

FIL. Non intendo scacciarvi di casa mia... Ma... non saprei... Avrei da servirmi di quelle camere.

GUGL. Benissimo. Tanto mi basta. Vi ringrazio di avermi sofferto con tanta generosità. Assicuratevi che conosco le mie obbligazioni, che so le mie convenienze, e che sarei andato via prima d’ora, se dalla bontà della vostra signora consorte non fossi stato soavemente violentato a restare.

FIL. (Hanno ragione, se mormorano di mia moglie). (da sé)

GUGL. Domani vi leverò l’incomodo. Vorrei pregarvi soltanto di questa grazia sola, che mi diceste il motivo, perché mi licenziate così su due piedi.

FIL. Per ora, compatitemi, non posso dirvi di più. Dunque anderete domani?

GUGL. (Dubito ch’egli sia diventato geloso della moglie. Quelle dieci doppie chi sa che cosa abbiano partorito?) (da sé) Signore, se così vi aggrada, son pronto a partire in questo momento.

FIL. No, non dico in questo momento. Ma... che so io? Se non v’incomodasse andar questa sera...

GUGL. Non vi è niente di male. In meno d’un ora, senza che nessuno sappia i fatti nostri, me ne vado in un altro quartiere.

FIL. Caro amico, me ne dispiace, torno a dirvi, infinitamente, ma credetemi, non posso far a meno di non far così. Un giorno poi vi dirò ogni cosa.

GUGL. Ed io per ora non parlo, perché voi siete il padrone di casa vostra, e a chi m’ha fatto del bene, non voglio arrecar dispiaceri. Ma un giorno verremo in chiaro di tutto. Signor don Filiberto, vi domando perdono degl’incomodi che vi ho cagionati; vi ringrazio infinitamente, e mi darò l’onore con comodo di riverirvi. (in atto di partire)

FIL. Ehi. Sentite. Di quelle dieci doppie cosa facciamo?

GUGL. (Cospetto! le dieci doppie adunque sono provenute da lui). (da sé) Non so che dire; farò tutto quello che voi volete. (Se le vorrà indietro, converrà metterle fuori). (da sé)

FIL. Gli uomini d’onore non si approfittano dell’altrui denaro.

GUGL. Se siete voi un galantuomo, tale mi professo di essere ancora io.

FIL. Le dieci doppie... (tirando fuori la borsa)

GUGL. Sì signore, ecco qui le sue dieci doppie. (mostra la borsa)

FIL. Come! Sono qui le vostre dieci doppie. (scuote la borsa)

GUGL. Le mie? Dico che le vostre sono in questa borsa.

FIL. Oh bellissima! Non avete voi dato dieci doppie effettive di Spagna a mia moglie, perché comprasse della cioccolata?

GUGL. Oh! che dite voi? Ella ha dato a me dieci doppie per le mie occorrenze.

FIL. Come va questa faccenda?

GUGL. Ecco la signora donna Aurora; ella diluciderà ogni cosa.

 

 

 


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