Carlo Goldoni
L'avventuriere onorato

ATTO SECONDO

SCENA SEDICESIMA

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SCENA SEDICESIMA

 

Guglielmo, poi il marchese D’osimo.

 

GUGL. Questa volta ne sono uscito con una tirata da medico. Con un ipocondriaco ci vuol poco. Gli ho cacciato in corpo tale spavento, che per del tempo s’asterrà di montar in collera. Ma che fa Eleonora, che non esce di questa casa? Già me l’immagino: curiosità donnesca. Donna Livia le avrà fatto centomila interrogazioni. Ed io che cosa farò? Dove andrò a ricovrarmi? Come potrò io reggere, ora che di più ho una femmina al fianco? Una bella finezza mi ha fatto Eleonora! Basta, son un uomo d’onore, e benché in oggi non abbia per Eleonora quella passione ch’io aveva per essa un giorno, sono in debito di sposarla, per riparo della di lei riputazione.

MAR. (Che fa costui intorno alla casa di donna Livia?) (da sé)

GUGL. (Oh mi aspetto dal signor Marchese un altro complimento, simile a quello del signor Conte). (da sé)

MAR. Che fate qui voi?

GUGL. Io cammino per la mia strada.

MAR. Queste strade le passeggerete per poco.

GUGL. Perché, signore?

MAR. Nella nostra città noi non vogliamo parabolani.

GUGL. Perché mi questo grazioso titolo?

MAR. Perché, se foste un uomo dotto, avreste seguitato la professione vostra dell’avvocato, ma siccome l’avrete esercitata con impostura, senza alcun fondamento, sarete stato scoperto e cacciato via.

GUGL. Ella s’inganna, signore. Qui son venuto per mia elezione. Gli uomini della mia sorta non si discacciano. Ella mi conosce poco, signor Marchese.

MAR. Il bravo signor avvocato! Quanti ne avete assassinati nel vostro studio?

GUGL. Io non ho assassinato nessuno, signore; anzi più del sapere, mi sono sempre piccato della sincerità. E se ella, quando aveva la sua causa, fosse venuta a farsi assister da me, in luogo di perderla, l’avrebbe vinta.

MAR. L’avrei guadagnata? Sapete voi qual fosse la mia causa?

GUGL. Sì signore, ne sono informato.

MAR. E dite che voi me l’avreste fatta vincere?

GUGL. Lo dico, e m’impegno di sostenerlo. Mi ella la permissione che le dica ora, benché fuor di tempo, la mia opinione?

MAR. Sì, dite. (Sentiamo che cosa sa dire costui). (da sé)

GUGL. Nella di lei causa si trattava di ricuperare un’annua rendita di seimila scudi. La domanda era giusta, e se il di lei difensore non errava nell’ordine, la causa l’avrebbe vinta. Trovasi ne’ libri antichi della di lei casa che i marchesi di Tivoli pagavano a quei d’Osimo seimila scudi l’anno, per più livelli fondati sui beni del debitore. Scorsero sessanta o settant’anni, senza che un tal canone si pagasse. Ella ha mosso la lite, ma si è principiata male. Hanno intentato un giudizio in petitorio, senza poter identificare gli effetti. Conveniva far prima la causa del possessorio, e regolarsi così: ecco l’ordine che tener si doveva, ecco la domanda che andava in caso tal concepita. Per tanti anni la casa di Tivoli pagò alla casa d’Osimo seimila scudi l’anno di canone; sono sessant’anni che non si pagano, petitur condemnari pars adversaria ad solvendum. Che cosa avrebbono gli avversari risposto? non teneri? Avremmo detto loro redde rationem. E colla ragione dell’uti possidetis sarebbesi convertito a loro debito il peso di provare la soluzione. Ma quando con un Salviano si domandano i fondi, spetta all’attore identificarli, e trattandosi di antichi titoli, trovandosi della confusione nei passaggi, nelle divisioni, nei contratti, si perdono le cause, non per mancanza delle ragioni, ma per difetto dell’ordine e della condotta. E se quest’ignorante ch’ella si compiace di trattar male, avesse avuto l’onor di servirla, scommetterei la testa ch’ella vinceva la causa, andava al possesso delli seimila scudi di rendita, gli pagavano i canoni arretrati di sessant’anni, e poi col tempo si potevano scorporare gli effetti, verificare i titoli, giustificar le ragioni e impossessarsi di una tenuta di beni. Essendo pur troppo vero, dipendere per lo più dalla buona condotta del difensore la fortuna o la rovina della causa, del cliente e della famiglia.

MAR. Signor avvocato, avreste voi difficoltà di venire a casa mia, e discorrerla alcun poco con li miei difensori?

GUGL. Io parlo con chicchessia. Parlo con fondamento, e sono a servirla, se mi comanda.

MAR. Bene; oggi vi aspetto. Domandate il palazzo del marchese d’Osimo.

GUGL. Verrò senz’altro a ricevere i suoi comandi.

MAR. Compatite, se avessi detto... Io non l’ho fatto per ingiuriarvi.

GUGL. Ella è mio padrone, signor Marchese.

MAR. (Costui parla bene. Mi persuade, e può darsi che colla sua direzione si possa repristinare la causa). (da sé, e parte)

 

 

 


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