Carlo Goldoni
L'avvocato veneziano

ATTO PRIMO

SCENA SETTIMA

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SCENA SETTIMA

 

Beatrice, Rosaura, poi Colombina

 

BEAT. Con me poteva risparmiare il latino.

ROS. Eh! signora Beatrice, mio zio spera molto, ma io spero pochissimo.

BEAT. Perché?

ROS. Perché con quanti parlo di questa causa, tutti mi dicono che vi è da temere.

BEAT. Temere si deve sempre. Ma si deve anco sperare. Vostro zio sa quel che dice: è un uomo di garbo.

ROS. Sì, è vero, mio zio sa qualche cosa, ma non è pratico dello stile di questi paesi. Egli l’ha con queste sue allegazioni, con queste sue informazioni; ed io so che il giudice non l’ha voluto e non lo vuole ascoltare, ma gli ha fatto dire che le sue ragioni le sentirà in contradditorio, il giorno della trattazione della causa.

BEAT. Domani farà spiccare la sua virtù.

ROS. Il signor Florindo si è provveduto d’uno de’ migliori avvocati di Venezia, ed è questo quello che mi fa più paura.

BEAT. Mi vien detto che questo signor avvocato, oltre l’essere eccellente nella sua professione, sia poi un uomo pieno di buone maniere e di una amenissima conversazione.

ROS. Aggiungete un uomo ben fatto, con una idea che colpisce e con una grazia che incanta.

BEAT. L’avete veduto?

ROS. Sì, l’ho veduto.

BEAT. È un bell’uomo dunque?

ROS. Di bellezze non me n’intendo; ma se l’avessi a giudicar io, lo preferirei ad ogni altro.

BEAT. Gli avete mai parlato?

ROS. Una volta. Era egli col medico. Io, che desiderava l’occasione di sentirlo discorrere, mi fermai colla serva a chiedere al medico, s’era tempo di principiare la purga. Quel graziosissimo veneziano entrò pulitamente nel proposito della purga, e mi ha dette le più belle e frizzanti cose del mondo. Cara amica confesso il vero, da quel giorno in qua penso più all’avvocato avversario, di quel ch’io pensi alla mia propria causa.

BEAT. Questa è un’avventura bellissima. Se si potesse credere che egli avesse della stima per voi, potreste molto compromettervi nel caso in cui siete.

ROS. Dopo di quell’incontro, mi ha salutato con un poco più di attenzione, e spero non essergli indifferente. Ciò non ostante, credetemi, niente spero.

BEAT. A buon conto, stassera verrà qui alla conversazione.

ROS. Davvero?

BEAT. Senz’altro.

ROS. Oh, meschina me!

BEAT. Dovreste anzi averne piacere.

ROS. Mi si gela il sangue solamente a pensarvi.

BEAT. Più bella occasione di questa non potete avere.

ROS. Per amor del cielo, non mi fate fare una cattiva figura.

BEAT. Non sono già una ragazza. Ho avuto marito e so il viver del mondo. Sapete che vi ho sempre voluto bene, e desidero vedervi quieta e contenta.

ROS. Cara amica, quanto vi son tenuta!

COL. Signora padrona, è qui il signor conte Ottavio che vorrebbe riverirla.

BEAT. Venga pure, è padrone.

COL. (Se alla conversazione non viene di meglio, questo signor Conte ne ha pochi da perdere). (da sé, parte)

ROS. Quanto m’annoia questo signor Conte!

BEAT. V’annoia? Non ha egli da essere vostro sposo?

ROS. Sì, il mio signor zio mi ha fatto questo bel servizio. Mi ha fatto promettere ad uno, per cui non ho né inclinazione, né amore.

BEAT. Ma perché l’avete fatto?

ROS. Per necessità. Mio zio è l’unica persona ch’io abbia al mondo da potermi fidare; egli mi minacciava di abbandonarmi, se non lo faceva.

BEAT. E il Conte vi vuol bene?

ROS. Mi fa qualche finezza, ma non mostra gran passione. Io credo che egli faccia l’amore ai ventimila ducati della mia eredità.

BEAT. Dicono che sia nobile, ma di poche fortune.

ROS. E quel che è peggio, dicono sia un uomo che vive di prepotenza.

BEAT. Siete ben pazza, se lo prendete.

ROS. Ma come ho da fare?

BEAT. Io, io vi insegnerò il modo di liberarvene; ma eccolo.

ROS. Guardate, se con quella cera brusca non fa paura.

 

 

 


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