Carlo Goldoni
L'avvocato veneziano

ATTO PRIMO

SCENA NONA

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SCENA NONA

 

Alberto, vestito con abito di gala, Lelio e detti. S’incontrano, si salutano con reciproche riverenze e qualche parola di rispetto, poi come segue.

 

ALB. La perdoni, zentildonna8, l’ardir che me son preso de vegnirghe a dar el presente incomodo, animà dal sior Lelio, che m’ha assicurà della so bontà e della so gentilezza.

BEAT. Il signor Lelio mi ha fatto un onor singolare, dandomi il vantaggio di conoscere un soggetto di tanto merito.

ALB. La supplico sospender, riguardo a mi, la troppo favorevole prevenzion, perché, savendo de no meritarla, la me serviria de rossor.

BEAT. La di lei modestia non fa che accrescere il pregio della di lei virtù.

ALB. Taserò, no perché me lusinga de meritar le sue lodi, ma per assicurarla del mio rispetto.

BEAT. La prego di accomodarsi.

ALB. Per amor del cielo, signori, le supplico; no le stia in disagio per mi.

(Tutti siedono. Alberto vicino a Beatrice, Lelio vicino ad Alberto; dall’altra parte Rosaura, e presso Rosaura il Conte)

LEL. (Che ne dite? È una bella conversazione?) (piano ad Alberto)

ALB. (Amigo, me l’avè fatta. Se credeva che ghe fusse siora Rosaura, no ghe vegniva) (piano a Lelio)

LEL. (Miratela con quell’indifferenza con cui la mirereste davanti al giudice).

ALB. (Altro xe el tribunal, altro xe la conversazion).

BEAT. (Amica, che avete che mi parete sorpresa?) (a Rosaura)

ROS. (Pagherei una libbra di sangue a non esser qui).

CON. Signora Rosaura, qualche volta favorisca ancor me. Io non son qui per far numero.

ROS. Che mi comanda, signor Conte? Vuol che gli canti una canzonetta?

CON. (Impertinente! Quando sarai mia moglie, le sconterai tutte). (da sé)

ALB. (Chi elo quel signor?) (a Lelio)

LEL. (È il conte Ottavio, quello che deve esser sposo della signora Rosaura). (ad Alberto)

ALB. (Caro amigo, non me dovevi mai menar qua).

LEL. (Se mi parlavate chiaro, non vi conduceva).

BEAT. Signor Lelio, come sta la signora Flaminia vostra sorella?

LEL. Sta un poco meglio. Il sangue le ha fatto bene.

BEAT. Domattina voglio venire a vederla.

LEL. Le farete una finezza particolare.

BEAT. (Volete venire ancora voi?) (piano a Rosaura)

ROS. (Dove abita il signor Alberto?) (piano a Beatrice)

BEAT. (Sì).

ROS. (Oh ! non so).

BEAT. Signor avvocato.

ALB. La comandi.

BEAT. Conosce questa signora?

ALB. Me par de averla vista e reverida qualche volta, ma non ho l’onor de conosserla precisamente.

BEAT. Questa è la signora Rosaura Balanzoni, di lei avversaria.

ALB. (S’alza) Cara zentildonna, me rincresce infinitamente trovarme in necessità de doverghe esser avversario; ma la se consola, che avendome avversario mi, el xe un capo d’avvantaggio per ella, perché la mia insufficienza darà mazor risalto al merito delle so rason.

ROS. La ringrazio infinitamente per sì gentile espressione, ma il mio scarso merito e la mia causa disavvantaggiosa non meritavano un difensoredegno. (Non so quel ch’io mi dica). (da sé)

ALB. (La m’ha coppà). (a Lelio, e siede)

BEAT. Domani dunque si tratterà questa causa?

ALB. La corre per doman.

BEAT. Sarebbe una temerità il chiedergli come l’intenda.

ALB. Se no l’intendesse a favor del mio cliente, certo che no m’esponerave a trattarla.

BEAT. Dunque la signora Rosaura sta male.

ALB. La signora Rosaura no pol star mal.

BEAT. Se perde l’eredità di Anselmo Aretusi, che le rimane?

ALB. Ghe resta un capital de merito, che no xe soggetto né a dispute, né a giudizi.

ROS. Il signor avvocato mi burla. (con tenerezza)

ALB. Non son cussì temerario.

ROS. (Beatrice, non posso più).

BEAT. (Pazienza, pazienza, che anderà bene).

CON. (Questa cara Rosaura mi pare che guardi con troppa attenzione il signor veneziano. La finirò io). (da sé) Signor avvocato.

ALB. Patron mio reverito.

CON. Una parola in grazia. (lo chiama a sé)

ALB. (De che paese xelo quel sior?) (a Lelio)

LEL. (Credo sia romagnolo). (ad Alberto)

ALB. (El gh’ha del polledrin della Marca).

CON. Favorisce?

ALB. Son da ella. (Mel voggio goder sto sior romagnolo). (s’alza e gli va vicino)

ROS. (Che manieracce ha il Conte!) (da sé)

ALB. (Cossa comandela, mio patron?)

CON. (A che ora vi levate la mattina?)

ALB. (Segondo: ma per el più a terza son sempre in piè).

CON. (Domattina, subito che siete alzato venite al caffè, che vi ho da parlare. Ma venite solo, e con segretezza).

ALB. (Veramente domattina gh’ho un pochetto d’affar. No la poderia mo ella favorir a casa?)

CON. (No, non posso. L’affare è geloso. Venite che vi tornerà conto).

ALB. (Se l’è per qualche causa, la sappia che vago via e no me posso impegnar).

CON. (Non è causa; è un affare che deve premere più a voi che a me).

ALB. (Basta, vederò de vegnir).

CON. (Del vederò non mi contento. Mi avete da dar parola di venire).

ALB. (Ghe dago parola, e vegnirò).

CON. (Non occorr’altro).

ALB. (L’è el più bel matto del mondo. Se posso, domattina vôi devertirme una mezz’oretta). (da sé, e torna al suo posto)

BEAT. Signor Alberto, si diletta di giuocare?

ALB. Qualche volta, co gh’ho tempo. Però per divertimento, no mai per vizio.

BEAT. Se si vuole divertire, ci farà grazia.

ALB. Per obbedirla farò tutto quello che la comanda. Ma sa sior Lelio che a do ore bisogna che me retira.

ROS. Il signor Alberto ha da ritirarsi per pensare contro di me.

ALB. La me mortifica con rason, ma ghe protesto che sempre no penso contro de ella.

ROS. Può darsi; ma in mio favore no certamente.

ALB. A che zogo comandele che le serva? (dopo aver guardato Rosaura pateticamente)

ROS. (Sentite come muta discorso a tempo?) (piano a Beatrice)

CON. Signora Rosaura, col suo bello spirito proponga ella il giuoco che s’ha da fare.

ROS. Anzi ella, che è tanto gentile nelle conversazioni.

CON. (Fraschetta! se non fossero ventimila scudi, non la guarderei). (da sé)

LEL. (Quei due sposi non si possono vedere). (piano ad Alberto)

ALB. (A lu par che la ghe inzenda, e per mi la saria tanto zuccaro). (da sé)

BEAT. Siamo in cinque, a che giuoco possiamo giuocare?

CON. Se giuochiamo a tresette, colla signora Rosaura non ci voglio stare.

BEAT. Perché?

CON. Perché non sa tenere le carte in mano.

ROS. Obbligata alle sue finezze.

CON. Io parlo schietto. Facciamo così: io e la signora Beatrice.

ALB. (Prima io). (da sé)

CON. L’avvocato con Lelio.

ALB. (El parla con un imperio, che el par Kulikan). (da sé)

BEAT. E la signora Rosaura non ha da giuocare?

CON. Se non ne sa.

ROS. Sentite, io non so giuocare, ma voi sapete poco il trattare. (al Conte)

CON. Verrò a scuola da lei.

ALB. La lassa che la zoga, che mi, se la se contenta, l’assisterò.

ROS. Voi non dovete assistere la vostra avversaria.

ALB. Mo no la me mortifica più. L’abbia un poco de compassion.

ROS. Non posso aver compassione per voi, se voi non l’avete per me.

ALB. (Sia maladetto quando son vegnù qua!) (da sé, smanioso)

LEL. (L’amico è agitato. Mi dispiace esserne io la cagione). (da sé)

BEAT. Orsù, per giuocare tutti, giuochiamo alla bassetta. Il signor Alberto ci favorirà di fare un piccolo banco.

ALB. Volentiera; la servirò come la comanda.

BEAT. Chi è di ? (vengono servitori) Tirate avanti quel tavolino ed accostate le sedie. (i servitori eseguiscono) Portate due mazzi di carte buone ed un mazzo delle vecchie. Sediamo. Qua il signor Alberto. Qua la signora Rosaura e qua io. il signor Lelio.

CON. E qua io? (vicino a Rosaura)

BEAT. , se vuole.

CON. Perderò senz’altro.

BEAT. Perché?

CON. Perché, quando giuoco, le donne vicine mi fanno cattivo augurio.

ROS. E voi andate dall’altra parte: chi vi tiene?

CON. Oh! voglio stare presso la mia carissima signora sposa. (con ironia)

ROS. (Mi fa venire il vomito). (da sé)

CON. (Non la posso vedere). (da sé)

ALB. Eccole servide d’un poco de monede. Le se devertissa.

CON. Che banco è quello? Credete di giuocar colla serva?

ALB. Quaranta o cinquanta lire de banco, per un piccolo divertimento, me par che non sia inconveniente.

CON. Se non vi è oro, non metto.

ALB. Ben, per servirla, metterò dell’oro. (cava una borsa e pone dell’oro in banco)

BEAT. Eh! non vogliamo...

CON. Lasci fare. Oh! questa è bella. Vogliamo giuocare come vogliamo noi.

BEAT. (È pieno di buone maniere questo signor Conte). (da sé)

ALB. Questi xe trenta zecchini: ghe basteli?

CON. Fate buono sulla parola?

ALB. La venza questi, e ghe penseremo. (Son in te l’impegno, bisogna starghe). (da sé)

LEL. (Mi dispiace averlo condotto qui). (da sé)

ALB. Ho taggià, le metta.

BEAT. Asso, un filippo; metta, metta, signor Lelio.

LEL. Due, a tre lire.

CON. Fante, a un zecchino.

BEAT. Via, Rosaura, mettete ancor voi.

ROS. No, perderei certamente.

BEAT. Perché dite che perdereste?

ROS. Perché il signor avvocato è venuto a Rovigo per farmi perdere.

ALB. Pazienza! La me tormenta, che la gh’ha rason.

ROS. Io vi tormento da scherzo e voi mi tormentate da vero.

CON. Animo, si giuoca o non si giuoca?

ALB. Son qua subito. Asso, do e fante. (taglia) Fante ha vadagnà, ecco un zecchin. Do ha vadagnà, ecco tre lire. Asso vadagna, ecco un felippo.

CON. Mescolate le carte.

ALB. Come la comanda. (mescola le carte)

CON. Lasciate vedere, le voglio mescolare anch’io.

ALB. Patron, la se comoda. (Bisogna ch’el sia avvezzo a zogar con dei farabutti). (a Beatrice)

BEAT. (È un conte che conta poco). (ad Alberto)

ALB. (Elo conte, contin o contadin?)

CON. Tenete. Fante, a due zecchini. ( le carte ad Alberto)

BEAT. Asso, a due filippi.

LEL. Due, a cinque lire.

ALB. E ella no la mette? (a Rosaura)

ROS. Io non giuoco con chi sa perdere e vincere quando vuole.

BEAT. Eh via, mettete.

ROS. Quattro, a due lire.

ALB. No la cresce la posta?

ROS. Non posso giuocar di più.

ALB. Perché?

ROS. Perché domani in grazia vostra sarò miserabile.

CON. Oh, che giuocare arrabbiato! Non la finisce mai. (Alberto taglia)

ALB. Subito. Fante ha perso. Con so bona grazia. (tira i due zecchini)

CON. Maledetta mano; non una seconda.

ALB. El gh’ha rason. Xe quattro o cinque ore che zoghemo. (con ironia)

CON. Va fante.

ALB. No va altro, no va altro. Do, tiro. (tira le cinque lire di Lelio)

BEAT. Questa volta tirate tutto.

ALB. Magari che tirasse tutto! (guardando Rosaura)

ROS. Che cosa guadagnereste di buono?

ALB. Vadagnerave el ponto, e chi lo mette.

ROS. Il punto val poco, e chi lo mette val meno.

ALB. Chi lo mette, val un tesoro.

ROS. Se fosse vero, non le sareste nemico.

ALB. Oh, me xe cascà le carte. Ho perso, bisogna che paga. Ecco do felippi e do lire. (si lascia cader le carte di mano, e paga le due donne)

BEAT. Siete un tagliatore adorabile.

ROS. Questa sera tagliate in mio favore, e domani taglierete contro di me.

ALB. S’ala gnancora sfogà?

ROS. Stassera mi sfogo io, e domani vi sfogherete voi.

ALB. (Debotto non posso più resister). (da sé, smanioso)

CON. E così, che facciamo? Ho da perdere il mio denaro con questo bel gusto?

ALB. Se no la vol zogar, nissun la sforza.

CON. Voglio giuocare. Animo, presto. Fante, a un zecchino.

ALB. Vorla missiar?

CON. Se volessi mescolare, mescolerei; tagliate.

ALB. Ella xe tutto furia, e mi tutto flemma. Via, zentildonne, che le metta.

BEAT. Che cosa abbiamo da mettere?

ALB. Che le metta al banco.

BEAT. L’oro mi fa paura.

ALB. Tirerò via l’oro. Lasso sto zecchin per el sior Conte.

BEAT. Asso al banco. (Alberto taglia)

ALB. Fante: ho venzo mi. Sto zecchin farà compagnia a st’altro. Mettemoli qua, sotto sto candelier. (pone li due zecchini sotto al candeliere) Asso ha vadagnà, son sbancà, no se zoga più. (Beatrice tira il banco)

CON. I miei due zecchini?

ALB. Me despiase, ma mi no taggio altro.

CON. Bell’azione!

BEAT. Via, via, signor Conte, un poco di convenienza.

CON. (Si scalda, perché va bene per lei). (da sé)

LEL. (È un giovane generoso e civile). (da sé)

ALB. Cossa disela, siora Rosaura? Siora Beatrice m’ha sbancà.

ROS. E voi domani sbancherete me.

ALB. (No la me lassa star un momento). (da sé)

 

 

 





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