Carlo Goldoni
L'avvocato veneziano

ATTO SECONDO

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ATTO SECONDO

 

 

 

SCENA PRIMA

 

Giorno. Strada.

 

Il Conte, poi Alberto vestito più ordinariamente.

 

CON. Questo signor avvocato non favorisce. Se non viene, me la pagherà. È un quarto d’ora che io aspetto. Oramai do nelle impazienze. Ma eccolo. Cammina anco di buon passo. L’amico mi conosce. Ha soggezione di me.

ALB. Servitor obbligato; l’oggio fatta aspettar?

CON. Un poco.

ALB. La compatissa. Ho cercà liberarme da sior Florindo, che in ogni forma el voleva vegnir con mi. La m’ha dito che vegna solo, e solo son vegnù.

CON. Avete fatto bene. Voglio parlarvi segretamente.

ALB. Vorla che andemo al caffè, dove che la m’ha dito giersera?

CON. No, al caffè vi è sempre qualcheduno. Qui in questa strada remota siamo più sicuri di restar soli.

ALB. Dove che la vol. (Che el me volesse far una qualche bulada? Da muso a muso no gh’ho paura). (da sé)

CON. Sentite... Ma prima mi avete a promettere di non parlare con chi si sia di quello che ora sono per dirvi.

ALB. La segretezza e la fede xe do circostanze necessarissime ai avvocati, e nualtri se lasseressimo sacrificar, più tosto che svelar un arcano con pregiudizio de chi ne l’ha confidà.

CON. Ciò non mi basta, giurate di non parlare.

ALB. I omeni onesti non ha bisogno de zuramenti.

CON. Gli uomini onesti non ricusano di giurare, quando non hanno intenzion di tradire.

ALB. Via, per contentarla: zuro de non parlar.

CON. Datemi la mano.

ALB. Eccola.

CON. Oh bravo! Ora brevemente vi spiccio. Credo che voi saprete essere io legato con promessa di matrimonio colla signora Rosaura.

ALB. Lo so benissimo.

CON. Dunque comprenderete da ciò, che la di lei causa diventa mia propria, venendomi assegnato in dote il valor della donazione fattale dal di lei padre adottivo, consistente in ventimila ducati.

ALB. È verissimo; la causa l’interessa infinitamente.

CON. Io non voglio esaminare se la signora Rosaura abbia torto, o abbia ragione; se la donazione si sostenga, o non si sostenga; perché queste sono cose imbrogliate e fastidiose, troppo contrarie al mio temperamento: ma bramerei che voi mi faceste un piacere.

ALB. La diga pur su. Se se poderà farlo, lo farò volentiera.

CON. se vi do del voi. Con gli amici parlo con libertà.

ALB. Me maravegio; non abbado a ste piccole cosse.

CON. Vorrei che, a mio riguardo, abbandonaste la difesa di questa causa.

ALB. Ma cara ella, come voria che fazza? Xe impossibile. La causa xe istruida da mi. Mi ghe ne son in possesso. Ancuo la s’ha da trattar. El principal ha speso i so bezzi, tutto el mondo aspetta sta disputa, mi no so veder el modo de poderme esentar.

CON. Il modo si trova, quanto si vuole. Vi suggerirò io qualche mezzo termine. Potete dire al vostro cliente che avete letta stamane una carta non più vista, che vi fa temere dell’esito; che avete scoperte alcune ragioni dell’avversario, le quali meritano maggior tempo e maggior riflesso; che la causa ha mutato aspetto, e vi è un qualche mancamento nell’ordine, che conviene regolarlo, che vi vuol tempo. Intanto si sospende la trattazione; tramonta l’appuntamento. Voi andate a Venezia. Il cliente si stanca, viene a patti, ed io fo fare l’aggiustamento a mio modo.

ALB. Bellissimi mezzi termini, espedienti suttili e spiritosi, ma no per i avvocati onorati. Lezer carte da novo, scovrir obietti, trovar desordini el zorno che s’ha d’andar in renga, le xe cosse prodotte o da una gran ignoranza, o da una gran malizia, indegne de chi xe arlevadi nel foro.

CON. Facciamo così: fingetevi ammalato. Dite che non potete trattar la causa; troveremo un medico che accorderà che avete la febbre, e dirà che, per guarire, è necessaria l’aria nativa. Anderete a Venezia con reputazione, ed io vi sarò obbligato.

ALB. Xe inutile che la me tenta per sto verso, perché se fusse vero che fusse ammalà, quando la malattia no fusse grave e avesse libera la lengua da poder parlar, me faria condur al tribunal, per trattar la mia causa.

CON. Orsù, vi compatisco; tante fatiche che avete fatte, non devono andare senza mercede. Se vincete la causa, il signor Florindo vi farà un regalo, al più, al più, di cinquanta zecchini; ed io, se ve n’andate, ve ne do cento.

ALB. Caro sior Conte...

CON. E non crediate già ch’io vi voglia promettere per non mantenere. Questi sono cento zecchini, e sono per voi, solo che tralasciate di sostenere questa causa.

ALB. Sior Conte caro, bisogna che la creda che nualtri avvocati no vedemo mai bezzi, che no sappiemo cossa che sia cento zecchini. Ma bisogna che la sappia che nu, a Venezia, cento zecchini i ne fa tanta specie, quanto pol far cento lire in ti so paesi. Nu no femo capital dell’oro, ma del concetto.

CON. Cento zecchini al merito vostro e alla qualità del favore che vi domando, saranno pochi, ma io non posso fare di più; e vi assicuro che questi mi costano qualche sforzo. Ma sentite, se voi mi promettete d’abbandonar questa causa, vi farò un obbligo di duemila e anco di tremila ducati, da pagarveli subito che avrò conseguita la dote di cui si tratta.

ALB. Né tre mille, né diese mille, né cento mille no xe capaci de farme far un’azion cattiva.

CON. Dunque siete risoluto di voler trattar questa causa?

ALB. Resolutissimo.

CON. Né v’importa di veder ridotta a un’estrema miseria una povera fanciulla innocente?

ALB. Fiat jus et pereat mundus.

CON. Non fate conto delle mie premure?

ALB. Non posso tradir el mio cliente per soddisfarla.

CON. Le offerte non servono?

ALB. Niente affatto.

CON. Orsù, se tutto questo non serve, troverò io la maniera di farvi fare a mio modo. (bruscamente)

ALB. Disela dasseno?

CON. Ditemi, sapete chi sono? (alterato)

ALB. Non ho l’onor de conosserla, se non per la conversazion de giersera.

CON. Io sono il conte di Ripafiorita.

ALB. Me ne rallegro infinitamente.

CON. Sono uno, che negl’incontri si è saputo cavare de’ bei capricci.

ALB. Lodo el so bel spirito.

CON. E vi avviso che, se non mi vorrete compiacer colle buone, lo farete colle cattive. (minaccioso)

ALB. Come sarave a dir? La se spiega.

CON. Voglio dire che, se non tralascierete di patrocinar questa causa, se non partirete adesso subito di Rovigo, vi caccierò la spada nei fianchi.

ALB. La me cazzerà la spada nei fianchi?

CON. Sì, signore, vi ammazzerò.

ALB. La me mazzerà? Con chi credela de parlar? Con un martuffo? Con un omo che concepissa timor per le so bulade9? No la me cognosse, patron. Pensela che a Venezia quei che porta la vesta10 non sappia manizzar la spada?

CON. Eh! ci vuole altro che belle parole! Se metto mano, vi farò tremare.

ALB. La se prova, e vederemo chi trema più.

CON. Ma non mi degno di cacciar mano alla spada, contro di uno che non è capace di starmi a fronte. Voglio adoperare il bastone.

ALB. A mi el baston? Cavalier indegno, fora quella spada. (mette mano)

CON. Ti pentirai d’avermi provocato.

ALB. Se morirò, morirò da par mio.

CON. Che vuol dir da par tuo?

ALB. Da omo d’onor, da omo de spirito, da vero venezian.

CON. Pretendi farmi paura con dire che sei veneziano? Non ti stimo, non ti temo, e non ho soggezione di te, né di cento de’ pari tuoi.

ALB. Cussì ti parli? Via, tocco de temerario. (si battono)

 

 

 





p. -
9 Bulade, bravate.



10 Vesta che si dice della toga che portasi dagli avvocati.



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