Carlo Goldoni
L'avvocato veneziano

ATTO SECONDO

SCENA SETTIMA

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SCENA SETTIMA

 

Beatrice, Rosaura e detto; poi il Servitore

 

BEAT. È molto circospetto il signor Alberto.

ALB. La perdoni, giera drio a certe carte. (Xe qua anca st’altra. Oh poveretto mi!) (da sé)

ROS. Il signor Alberto averà saputo che ci era io, e per questo averà fatto serrar la porta.

ALB. Per dirghe la verità, me figurava de veder stamattina in sta casa tutte le persone del mondo, fora de ella.

ROS. Non crediate già ch’io sia venuta per voi. Son venuta a vedere la signora Flaminia.

ALB. De questo ghe ne son certo; e me stupisso come la se sia degnada de vegnir in te la mia camera.

ROS. Vi son venuta per compiacere la signora Beatrice.

ALB. In cossa la possio servir? (a Beatrice)

BEAT. Se vi do incomodo, vado via.

ALB. La vede, gh’ho i summari per man.

BEAT. Non l’avete ancora studiata questa gran causa?

ALB. Questo xe el zorno del gran conflitto.

ROS. Questo è il giorno in cui il signor Alberto avrà la gloria di vedermi piangere amaramente.

BEAT. Poverina! sarebbe una crudeltà troppo barbara. Direi che avete un cuore di tigre. (ad Alberto)

ALB. Ele venude per tormentarme?

BEAT. No, no, andiamo subito. Vedo l’accoglimento che voi ci fate. Non ci esibite nemmen da sedere? Non credeva che gli uomini virtuosi fossero nemici del viver civile.

ALB. No pensava che le se volesse trattegnir.

BEAT. Ho una cosa da dirvi. Ve l’ho da dir così in piedi?

ALB. La servirò, come la comanda. Chi è de ?

SERV. Illustrissimo.

ALB. Tirè avanti una carega.

ROS. Ed io starò in piedi?

ALB. (No so dove che gh’abbia la testa). (da sé) Tireghene do. (al Servitore)

BEAT. E voi non volete sedere?

ALB. Tireghene tre, quattro, sie. (alterato, al Servitore)

BEAT. No, no, basta tre. Siete molto collerico, signor Alberto.

ALB. La compatissa. Stamattina son fora de mi.

BEAT. Sedete , signora Rosaura; io sederò qui, e il signor Alberto nel mezzo.

ALB. (Se vien sior Florindo, stago da frizer). (da sé) Sentì, quel zovene. (piano al Servitore) (Se vegnisse el sior Florindo, e che ghe fusse qua ste do zentildonne, avanti de farlo passar, avviseme).

BEAT. (Ehi, ci siamo intesi, quando vi fo cenno, chiamatemi; vi sarà la mancia). (piano al Servitore)

SERV. (Sarà servita). (piano a Beatrice e parte; poi torna)

BEAT. Via, sedete, signor avvocato. (lo fa sedere in mezzo)

ROS. Se vi fastidio la mia vicinanza, mi tirerò più in qua.

ALB. Ma no, la staga pur salda. (Me vien caldo e freddo tutto in una volta). (da sé) E cussì, cossa m’ala da comandar? (a Beatrice)

BEAT. Io non intendo di comandare, ma di pregarvi.

ALB. In quel che posso, sarò pronto a servirla.

BEAT. Vi prego per quella povera sventurata.

ALB. Mo cara ella, cossa ghe posso far?

BEAT. Tutto potete, se di lei vi movete a pietà.

ALB. Più che ghe penso, e manco me vedo in stato de poder far gnente per ella.

BEAT. Dite che siete ostinato nel volerla vedere precipitata.

ROS. Eh via, signora Beatrice, non gettate invano il tempo e la fatica. Il signor Alberto ha dell’avversione per me, ed è superfluo sperare aiuto da una persona che mi odia.

ALB. No, siora Rosaura, no la odio, no gh’ho dell’avversion per ella; ma son in necessità de defender el so avversario.

BEAT. Perché siete in questa necessità?

ALB. Perché per mia desgrazia l’ho cognossù avanti de siora Rosaura, e me son impegnà de defenderlo prima d’aver visto le bellezze dell’avversaria.

BEAT. Dunque se prima aveste veduto la signora Rosaura, avreste difesa lei e non il signor Florindo?

ALB. Oh! questo po no. Non è possibile che mi defenda chi no son persuaso che gh’abbia rason. Se se trattasse del mio più stretto parente, de mi medesimo, parleria schietto; e per tutto l’oro del mondo, e per qualunque passion, no me metterave mai a defender chi gh’ha torto, colla speranza de far valer i sofismi, le macchine e le invenzion.

ROS. Eh! dite piuttosto che non avreste intrapreso a difendermi per l’antipatia che avreste avuta colla cliente.

ALB. Se me fusse lecito dirghe tutto, la poderia assicurarse che anzi una violentissima simpatia me trasporta all’ammirazion del so merito, e alla compassion del so stato.

ROS. Se aveste compassione di me, non procurereste di rovinarmi.

ALB. Se fusse in mio arbitrio el renderla felice e contenta, lo farave con tutto el cuor.

BEAT. (Il discorso mi pare bene inoltrato). (da sé) Eh, ehm! (si spurga; il Servitore intende il cenno ed entra)

SERV. Signora, la mia padrona la prega di venir da lei per un momento, che le ha da dire una parola di somma premura. (a Beatrice)

BEAT. Vengo subito (s’alza, e il Servitore parte)

ROS. Se partite voi, vengo anch’io. (a Beatrice)

BEAT. No, no, amica; trattenetevi qui per un momento, che subito torno.

ROS. Farò come volete.

BEAT. Signor Alberto, ora sono da voi.

ALB. Siora Beatrice, per amor del cielo, l’abbia carità de mi. No la me metta in necessità o de precipitarme, o de commetter una mala creanza.

BEAT. Vi lamentate di me, perché vi lascio con una bella ragazza? Un affronto simile dagli uomini della vostra età si prende per una buona fortuna. (parte)

 

 

 


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