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Camera della conversazione in casa di Beatrice, con tavolini e candelieri: il tutto in confuso,
rimasto così dopo la conversazione della sera innanzi.
COL. Ecco qui, siamo sempre alle medesime. Da ieri sera in qua non hai fatto nulla. Le sedie, i tavolini, i candelieri, le carte, tutto in confuso.
ARL. A ti, che te piase la pulizia, perché no t’è vegnù in testa d’accomodar, de nettar, de destrigar e de no vegnirme a seccar?
COL. Pezzo d’animalaccio! Ho da far tutto io?
ARL. Mi la mia parte la fazzo in cusina.
COL. Via dunque, prendi quei candelieri, e valli a ripulire.
ARL. Ben, mi netterò i candelieri, e ti ti farà el resto.
COL. Io raccoglierò le carte. (s’accostano tutti due al tavolino)
ARL. Olà! (alza un candeliere, e vi trova sotto li due zecchini, lasciati da Alberto)
COL. Che cosa c’è? (se ne accorge)
ARL. Niente. (li vuol nascondere)
COL. Hai trovati dei denari: sono a metà.
ARL. Chi trova, trova; questa l’è roba mia.
COL. Due zecchini? Uno per uno.
ARL. De questi no ti ghe ne magni. L’è roba mia.
COL. Non è vero. Le mance e queste cose si spartono fra la servitù.
ARL. Mi no so de tanto spartir. Chi trova, trova.
ARL. Dillo a chi ti vol. Sti do zecchini i è mii.
COL. Non è vero. Toccano metà per uno. La vedremo.
COL. Voglio il mio zecchino, se credessi di fare una lite.
ARL. No te lo dago, se credesse de farme impiccar.