Carlo Goldoni
L'avvocato veneziano

ATTO SECONDO

SCENA QUATTORDICESIMA

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

Camera della conversazione in casa di Beatrice, con tavolini e candelieri: il tutto in confuso,

rimasto così dopo la conversazione della sera innanzi.

 

Colombina ed Arlecchino

 

COL. Ecco qui, siamo sempre alle medesime. Da ieri sera in qua non hai fatto nulla. Le sedie, i tavolini, i candelieri, le carte, tutto in confuso.

ARL. A ti, che te piase la pulizia, perché no t’è vegnù in testa d’accomodar, de nettar, de destrigar e de no vegnirme a seccar?

COL. Pezzo d’animalaccio! Ho da far tutto io?

ARL. Mi la mia parte la fazzo in cusina.

COL. Via dunque, prendi quei candelieri, e valli a ripulire.

ARL. Ben, mi netterò i candelieri, e ti ti farà el resto.

COL. Io raccoglierò le carte. (s’accostano tutti due al tavolino)

ARL. Olà! (alza un candeliere, e vi trova sotto li due zecchini, lasciati da Alberto)

COL. Che cosa c’è? (se ne accorge)

ARL. Niente. (li vuol nascondere)

COL. Hai trovati dei denari: sono a metà.

ARL. Chi trova, trova; questa l’è roba mia.

COL. Due zecchini? Uno per uno.

ARL. De questi no ti ghe ne magni. L’è roba mia.

COL. Non è vero. Le mance e queste cose si spartono fra la servitù.

ARL. Mi no so de tanto spartir. Chi trova, trova.

COL. Lo dirò alla padrona.

ARL. Dillo a chi ti vol. Sti do zecchini i è mii.

COL. Non è vero. Toccano metà per uno. La vedremo.

ARL. Sì. La vederemo.

COL. Voglio il mio zecchino, se credessi di fare una lite.

ARL. No te lo dago, se credesse de farme impiccar.

 

 

 


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