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ROS. Non dice male. Aprirò il terrazzino, e prenderò un poco d’aria. (apre e vede Alberto) Oimè! questo è un tradimento.
ALB. No, siora Rosaura, non son qua per tradirla, ma per consolarla, se posso.
ROS. Sarà una consolazione compagna a quella che mi avete data nel tribunale.
ALB. Ma no sala el mio impegno? Non ala approvà ella istessa, con tanto merito, le giuste premure del mio onor, della mia estimazion?
ROS. Sono miserabile per causa vostra.
ALB. Chi fa el mal, ha da procurar el remedio. Per causa mia la xe ridotta in sto stato, e mi son qua prontissimo a remediarghe.
ALB. Ella ha perso un stato comodo, un mario nobile, mi ghe offerisso un stato mediocre, un consorte civil.
ROS. E chi è mai questo, che abbassare si voglia alle nozze d’una infelice?
ALB. Mi, siora Rosaura, mi che conossendo el so merito, la so bontà, i so boni costumi, l’amor che la gh’ha per mi, sarave un ingrato, un barbaro, un senza cuor, se no cercasse de reparar co la mia man i danni che gh’ha cagionà la mia lengua.
ROS. Cari danni, dolci pene, perdite fortunate, se mi rendono la più felice, la più fortunata donna di questa terra. Ma, oh Dio! Voi mi lusingate, voi me lo dite per acquietare i tumulti della mia passione.
ALB. Ghe lo digo de cuor, ghe lo digo de vero amor; e per prova della verità, confermo la mia promessa col zuramento, e ghe offerisso la man.
ROS. Oh dolcissima mano! Tu non mi fuggirai certamente. Tu sei la mia speranza, il mio refugio, l’unica mia consolazione. Ti stringo, t’adoro, a te mi raccomando: abbi pietà di questa povera sventurata. (lo tiene per mano)
ALB. Sì, cara, sì, colonna mia...