Carlo Goldoni
La bancarotta, o sia il mercante fallito

ATTO PRIMO

SCENA SESTA

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SCENA SESTA

 

Il Dottore, Truffaldino, poi il Servitore di Clarice.

 

TRUFF. Donca, se la permette... (al Dottore, incamminandosi verso la di lui casa)

DOTT. Aspetti, signor Truffaldino, che se il padrone è fuori di casa, vi è un altro che gli può dare più soggezione di lui. (con ironia)

TRUFF. E chi elo, se la domanda è lecita?

DOTT. È un certo signore, che si domanda bastone, dietro la porta, pronto a ricamargli le spalle.

TRUFF. Quando l'è cussì, per no dar incomodo a sto signor, volterò el bordo, e anderò via per un'altra strada. (si scosta, e va dall'altra parte)

DOTT. Lodo la sua bella prudenza, e la consiglio non venir molto per questa parte, perché il signor bastone qualche volta ha la bontà di venir fuori di casa, ed esercitar la sua cortesia anche in mezzo la strada.

TRUFF. Oh, l'è troppo cortese! La ghe diga che nol se incomoda, che più tosto...

SERV. Amico. (a Truffaldino, uscendo dalla locanda)

TRUFF. Cossa gh'è?

SERV. La mia padrona ha letto la lettera e presto presto ha fatto la risposta, e giacché a sorte ancora vi trovo qui mi farete il piacere di portarla al vostro padrone. ( la lettera a Truffaldino)

TRUFF. Com'ela andada? (al Servitore)

SERV. Male.

TRUFF. È vegnudo el paolo?

SERV. Questa volta non è venuto: dubito che le sia piaciuto poco la lettera che mi avete dato.

TRUFF. Ho paura anca mi.

SERV. Un'altra volta vi farò la facilità di lasciare che la portiate voi colle vostre mani. (parte)

TRUFF. Obligado della finezza. (Saria curioso de veder cossa che la responde, se la ghe promette de restituirghe i zecchini). (da sé)

DOTT. Bravo, signor Truffaldino.

TRUFF. Cossa voravela dir, patron?

DOTT. Letterine amorose.

TRUFF. Sior sì, letterine amorose. (apre la lettera in disparte)

DOTT. (Povero Pantalone! È rovinato, e non vuol far giudizio). (da sé)

TRUFF. (Me despiase che so poco lezer, e sto carattere no l'intendo). (da sé)

DOTT. (Mi dispiace ancora per suo figliuolo. Gli avrei data volentieri mia figlia. Ma ora non è più in istato di maritarsi). (da sé)

TRUFF. Sior Dottor, la compatissa, no fazzo mai per far torto alla so virtù: sala lezer?

La prendo per una facezia, per altro l'interrogazione sarebbe ben temeraria.

TRUFF. Voio dir, se l'intende tutti i caratteri.

DOTT. Pare a voi che un uomo della mia sorte non abbia da intendere ogni carattere? Avete qualche cosa da leggere che vi prema?

TRUFF. Gh'averave sta lettera.

DOTT. A chi va quella lettera?

TRUFF. La va al mio patron.

DOTT. Al vecchio o al giovane?

TRUFF. Al vecchio.

DOTT. E voi vi prendete la libertà di aprire e di leggere le lettere che vanno al vostro padrone?

TRUFF. Ghe dirò, sior, tra mi e lu passemo con confidenza; so tutti i so interessi. So che l'ha imprestà trenta zecchini a una forestiera che sta in quella locanda, e che con una polizza el ghe li ha domandai. El m'ha promesso, se la ghe li restituisce, de darme sie mesi de salario che avanzo e, per dirghela, gh'ho un poco de curiosità, perché se tratta del mio interesse.

DOTT. Quand'è così, non ricuso di compiacervi.

TRUFF. La me farà grazia. ( la lettera al Dottore)

DOTT. Mi pare aver inteso dire che il signor Pantalone faceva il grazioso con quella signora, e molto abbia con lei consumato.

TRUFF. Me par anca a mi che sia vero.

DOTT. E come ora le domanda trenta zecchini?

TRUFF. Questi el ghe li ha prestadi; e se spera che adesso, vedendolo in bisogno, tanto più presto la ghe li abbia da restituir. Sentimo quel che la dise.

DOTT. Sentiamo.

 

Signor Pantalone carissimo.

 

Sono penetrata dalla vostra disgrazia, e mi rincresce non essere in istato di sovvenirvi. Voi dite che mi avete prestato trenta zecchini, ma io non me ne ricordo e se ciò fosse vero, avreste di me o un obbligo o una ricevuta. Riflettete che voi siete causa della vostra rovina, e che se aveste badato a me solamente, non vi trovereste in simile stato. Non potete dire che io sia stata la cagione dei vostri disordini, mentre in due anni che avete praticato in mia casa, sono stati maggiori gl'incomodi che mi avete recato, di quelli che per me avete sofferto. Pensate ai casi vostri, mentre io per soccorrervi non posso alterare la mia economia, e molto meno privarmi di quanto mi è necessario per comparire; e non mi tormentate con lettere, mentre una fiera emicrania mi tiene oppressa, assicurandovi ciò non ostante che sono

Vostra sincera amica

chi voi sapete.

TRUFF. Cossa credela che possa sperar a conto del mio salario?

DOTT. Questa lettera vi può profittar assaissimo, considerando l'ingratitudine delle donne, e fissando la massima di starvi lontano e di non fidarsi di loro. Lasciate questa lettera nelle mie mani, ché dandola ora al signor Pantalone, gli sarebbe di troppo cordoglio. Io gli sono amico e lo compatisco; e voglio recargli tutto quell'aiuto ch'io posso nelle presenti sue circostanze. Penso al rimedio de' suoi disordini; credo averlo trovato; un poco doloroso per i suoi creditori, ma il più facile ed il più usitato. (parte)

 

 

 


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