Carlo Goldoni
La bancarotta, o sia il mercante fallito

ATTO TERZO

SCENA SETTIMA

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SCENA SETTIMA

 

Pantalone, poi Clarice in maschera ed il conte Silvio

 

PANT. Per mi digo che la xe una sempia, e che me piase che le donne le sappia dir de no con rason, e dir de sì co bisogna.

CLAR. Eccoci, signor Pantalone, a ricevere le vostre grazie.

PANT. Anzi i xe onori che mi ricevo da ela e da sior conte, che se degna de favorirme.

SILV. Ringraziate la signora Clarice. In grazia sua ho ceduto il luogo, e ho differito la festa che le avevo già preparato.

PANT. L'aveva parecchià una festa e la l'ha differida? Meggio per ela, sior conte; la scriva in libro: per tanti sparagnati.

SILV. Voi ne avete più bisogno di me di scrivere a libro le partite di risparmio.

PANT. Ela no sa i fatti mii.

SILV. Né voi sapete i miei.

PANT. Certo mi no posso dir altro de ela, che quel che parla i mi libri.

SILV. È questa la gran camera della festa da ballo?

PANT. Lustrissimo sior no. Ghe xe un portego grando sie volte come sta camera, ben illuminà, con dei sonadori in abbondanza, e po dopo la vederà un tinelo con una tola, che sarà degna della presenza de vussustrissima.

SILV. Avete fatto bene a prendere in imprestito questo casino, in luogo lontano assai dalle piazze.

PANT. Perché oggio fatto ben?

SILV. Perché i vostri creditori difficilmente vi troveranno.

PANT. E ela l'ha fatto mal a vegnir qua.

SILV. Per qual ragione?

PANT. Perché la xe vegnua in casa de un so creditor.

SILV. (Costui è stanco di vivere). (da sé)

CLAR. E bene, signor Pantalone, non vi è nessuno ancora? Non si principia la festa?

PANT. Xe ancora a bonora; ma se la vol andar in portego, la xe patrona.

SILV. Già che vi è tempo, signora Clarice, si potrebbe andare dal vostro sarto a sollecitarlo. Già la gondola aspetta.

PANT. Ala comprà el ganzo per farse l'abito?

CLAR. Non ancora.

SILV. L'abito non sarà di broccato, ma tant'e tanto sarà una cosa nobile e di buon gusto.

PANT. Saravelo fursi de stoffa peruviana?

CLAR. Non parliamo ora di vestiti. Andiamo a veder la sala.

SILV. Cosa sapete voi di che sia il vestito ch'ella dee farsi?

PANT. Vardava se el giera el drappo che sior conte ha tolto alla mia bottega.

SILV. Pensate che in Venezia non ve ne siano di compagni?

PANT. Ghe ne sarà, ma intanto sior conte ha volesto farne sta finezza de vegnirlo a comprar da nu.

CLAR. (Non vorrei che si scoprisse l'imbroglio). (da sé) Andiamo, signor conte, andiamo, signor Pantalone.

SILV. Ho dato ordine al mio servitore, che paghi a vostro figliuolo quello che ho comperato per me.

PANT. No la s'incomoda de pagar sta polizza. Piuttosto la me salda le vecchie.

SILV. No, no, voglio saldar questa per ora. Ho dato la mia parola.

PANT. Per questa no ghbisogno, la xe saldada.

SILV. Perché saldata?

PANT. Perché la roba xe tornada a bottega.

CLAR. Volete finirla, signori miei? Volete finirla?

SILV. Come! L'avreste voi levata dalla bottega del sarto?

PANT. L'ho tolta dove che l'ho trovada, e la mia roba la posso tor dove che la trovo.

SILV. Dove l'avete voi trovata?

PANT. In casa de siora Clarice; e l'avviso per so regola, che co se vol regalar una signora, se va a comprar e se paga, e co no se pol pagar, se fa de manco de far regali.

CLAR. (L'ha voluta dire, che possaglisi seccar la lingua). (da sé)

SILV. Signora Clarice, che cos'è quel che dice il signor Pantalone?

CLAR. Non so niente. Andiamo a ballare.

SILV. Avreste voi avuto l'ardire di portar via un abito alla signora Clarice? (a Pantalone) Ecco cosa sono i bravi giocatori di testa. Portano via alle donne in luogo di darne, e fanno poscia i festini...

PANT. I omeni della mia sorte sa donar cinquanta zecchini a una donna per farse un abito de ganzo. Siora Clarice, se l'ala fatto? L'ala comprà? Se i cinquanta zecchini no basta, la comandi, questi i xe zecchini, e i xe a so disposizion. (fa vedere una borsa con danari)

SILV. (Costui tenta di mortificarmi, ma penserò una qualche vendetta). (da sé)

CLAR. Signor Pantalone, i galantuomini che fanno una finezza di buon cuore, non la propalano per mortificare chi l'ha ricevuta.

PANT. La compatissa, la gh'ha rason, ma de le volte no se pol far de manco.

SILV. Il signor Pantalone fa delle guasconate di molte. Chi sa che in quella borsa non vi sia del rame invece di oro?

PANT. Rame, patron? La varda, la se inspecchia in sto rame. (versa i zecchini sopra la tavola)

SILV. Tutto sangue di creditori.

PANT. Cussì xe quell'abito che la gh'ha intorno.

CLAR. Orsù, signor conte, o che si cambi discorso, o che io me ne vado, e in casa mia non verrete più né l'uno né l'altro...

PANT. Gnanca mi? Cossa gh'oggio fatto?

CLAR. Non voglio che per causa mia fra di voi abbiate ad essere nemici. O pacificatevi, o non pratico più nessuno.

PANT. Per mi co sior conte no gh'ho inimicizia. Col me paga el mio contarelo, no voggio altro.

SILV. Per farvi vedere che dono tutto alla signora Clarice, mi scordo ogni cosa e in segno di buona amicizia venite qui; sediamo e facciamo un taglio alla bassetta.

PANT. A sta ora la vol zogar?

SILV. Per che cosa avete qui preparate le carte?

PANT. Perché se qualchedun se stufa, co i altri balla, el possa devertirse a zogar.

SILV. Fintanto che si uniscono i convitati, giochiamo.

PANT. Eh, che xe troppo a bonora.

SILV. Non ha coraggio il signor Pantalone, ha paura di perdere. Quei zecchini gli sono assai cari, ora che ne ha più pochi.

PANT. Mi no gh'ho suggizion de settanta o ottanta zecchini. Son capace de metterli tutti su un ponto.

SILV. Animo dunque, proviamoci.

CLAR. Eh no, lasciate...

PANT. Che el ghe ne metta fora altrettanti.

SILV. No, è troppo tutti in un colpo. Dieci zecchini alla volta. Ecco dieci zecchini. Mettete, come volete. (mescola le carte e fa il taglio)

PANT. Fante a diese zecchini.

SILV. Fante; ho vinto. (dopo aver fatto il giuoco)

PANT. Va fante a vinti zecchini.

SILV. Fante. Ho guadagnato venti zecchini. (come sopra)

PANT. Va sette a diese zecchini.

SILV. Sette. Voglio dieci zecchini. (come sopra)

PANT. Asso, al resto de tutti sti bezzi.

SILV. Ecco l'asso. Ho vinto. (come sopra)

PANT. Bravo. I ho persi tutti.

SILV. Volete altro?

PANT. Va cinque a vinti zecchini.

SILV. Danaro in tavola.

PANT. La taggia, son galantomo.

SILV. Sulla parola non giuoco. (si alza e ripone il danaro)

CLAR. Signor Pantalone, per farmi il vestito di broccato, vi vorrebbero altri venti zecchini.

PANT. La se li fazza dar da sior Silvio.

CLAR. Vergogna! Perdere il danaro così miseramente, e mancar di parola a una donna!

PANT. La doveva far de manco de menarme in casa sto sior.

SILV. I pari miei vi onorano, quando vengono dove voi siete.

PANT. Cosssti pari miei? Se sa chi , sior conte postizzo.

SILV. Se non avrete giudizio, vi taglierò la faccia.

PANT. A mi, sior conte cànola? sior baro da carte?

SILV. Come parli, temerario?

PANT. Sì, quei bezzi me li avè barai.

SILV. Eh, corpo di bacco! (mette mano alla spada)

PANT. Sta in drio. (mette mano ad un pugnale)

CLAR. Aiuto.

 

 

 


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