Carlo Goldoni
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

 

Bertoldo e detti.

 

BER.

Riverisco, o signor, con umiltà,

Non già per voi, ma la vostra Maestà.

RE

Perché parli così?

BER.

Perché, per dirla,

V'apprezzo come re di questo impero;

Ma come uomo non vi stimo un zero.

RE

Dunque, s'io non regnassi,

Meritar non potrei da te rispetto?

BER.

Signor, vi parlo schietto:

Tutti nudi sian nati,

Tutti nudi morremo;

Levatevi il vestito inargentato,

E vedrete che pari è il nostro stato.

ERM.

Troppo libero parli.

BER.

A me la lingua

Pel libero parlar formò natura:

Quel che sento nel cor, dico a drittura.

So che sincerità fra voi non s'usa,

Che dalla Corte esclusa,

La bella verità sen va raminga;

So che convien che finga,

Chi grazie vuol sperar dal suo sovrano;

So che l'uomo da ben fatica invano.

Io, che grazie non curo,

Che insulti non pavento,

Dico quel che mi pare e quel che sento.

RE

(L'audacia di costui non è disgiunta

Da un maturo consiglio). Amico, io lodo

La tua sincerità. Ti bramo in Corte.

Vuoi tu meco venir?

BER.

Venir in Corte?

S'io venissi colà, povero voi!

Poveri i cortigiani! In poco tempo

Scoprir vorrei, con il mio capo tondo,

I vizi della Corte a tutto il mondo.

ERM.

Di quai vizi favelli?

BER.

Non mi fate parlar: segrete trame,

Maldicenze pungenti,

Calunnie, tradimenti,

Sdegni, amori, rapine e crudeltà...

Non mi fate parlar, per carità.

RE

Puoi la lingua frenar?

BER.

Non sarà mai.

Tutto tor mi potrebbe un re severo,

Ma non la libertà di dire il vero.

RE

Adunque in povertà viver tu vuoi?

BER.

Son più ricco di voi.

ERM.

Come potrai dir ciò?

BER.

Lo dico, e il proverò.

Il re non può far niente

Senz'oro e senza gente;

Io che raccolgo della terra il frutto,

Mangio e bevo a mia voglia, e faccio tutto.

RE

Orsù, dimmi, che vuoi?

BER.

Nulla.

RE

E a qual fine

Da me venisti?

BER.

A rimirar se il corpo

De' monarchi è diverso

Da quel di noi villani. Voi avete le mani,

E la testa e le gambe, come me.

Dunque tanto è il villano quanto il re.

ERM.

Così parli al sovrano?

BER.

Io da villano;

E se un tale parlar vi dolore,

Io dunque me ne vado, e v'ho nel core.

ERM.

Parti senza inchinarti?

RE

E sdegni di cavarti il tuo cappello?

BER.

Se scopro il mio cervello,

Poss'anco raffreddarmi,

Né la vostra Maestà potrà sanarmi.

RE

Dunque siete sì rozzi?

Qua non s'usa fra voi la civiltà?

BER.

Queste sono pazzie della città.

 

Quando s'incontrano

Per la città,

«Servo umilissimo,

Padron carissimo,

Il ciel la prosperi

Con sanità»;

E nel cor dicono,

«Possa crepar».

Tutti si abbracciano,

Tutti si baciano,

E si vorrebbero

Tutti scannar. (parte)

 

 

 


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