Carlo Goldoni
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno

ATTO PRIMO

SCENA OTTAVA

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SCENA OTTAVA

 

Bertoldino e Menghina

 

BERTOL.

Povero Cacasenno!

Non vuò che gli si dia.

MENG.

L'alleverai

Qualche cosa di buono. In questa guisa

Si rovinano i figli;

Se la madre i riprende,

Il padre li difende,

Se il padre li bastona,

La madre gli perdona.

L'uno all'altro nasconde il lor difetto,

E li rovinan poi per troppo affetto.

BERTOL.

Io non so tante istorie.

Sei troppo dottoressa.

Ho inteso dir più volte da mio padre:

«Delle femmine questa è la dottrina:

L'ago, il fuso, la rocca e la cucina».

MENG.

Son donna, è vero; è ver, son nata vile,

Ma ho spirto e cuor civile.

Volesse il ciel che anch'io,

Qual fu la madre tua saggia Marcolfa,

Andar potessi in Corte. Io ti prometto

Che vorrei mi portassero rispetto.

BERTOL.

Orsù, finché si cuociano i fagiuoli,

Lavoriamo anche un poco.

Tu con la tua rocchetta,

Ed io raccoglierò di questa erbetta.

MENG.

Sì, lavoriamo, e intanto

Mi spasserò col canto.

 

Ciascun mi dice ch'io son tanto bella,

Che sembro esser la figlia d'un signore,

Chi m'assomiglia alla Diana stella,

Chi m'assomiglia al faretrato Amore.

Tutta la villa ognor di me favella,

Che di bellezza porto in fronte il fiore.

Mi disse l'altro giorno un giovinetto:

«Perché non ho tal pulce nel mio letto?».

 

 

 


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