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LEL. Arlecchino, sono innamorato davvero.
ARL. Mi, con vostra bona grazia, no ve credo una maledetta.
ARL. No ve lo credo, da galantomo.
LEL. Questa volta dico pur troppo il vero.
ARL. Sarà vero, ma mi no lo credo.
LEL. E perché, s'è vero, non lo vuoi credere?
ARL. Perché al busiaro no se ghe crede gnanca la verità.
LEL. Dovresti pur conoscerlo ch'io sono innamorato, dal sospirar ch'io faccio continuamente.
ARL. Siguro! perché non savì suspirar e pianzer, quando ve comoda. Lo sa la povera siora Cleonice, se savì pianzer e suspirar, se savì tirar zo le povere donne.
LEL. Ella è stata facile un poco troppo.
ARL. Gh'avì promesso sposarla, e la povera romana la v'ha credesto.
LEL. Più di dieci donne hanno ingannato me; non potrò io burlarmi di una?
ARL. Basta: preghè el cielo che la ve vaga ben, e che la romana non ve vegna a trovar a Venezia.
ARL. Le donne, co se tratta d'amor, le fa delle cosse grande.
LEL. Orsù, tronca ormai questo discorso odioso. A Cleonice più non penso. Amo adesso Rosaura, e l'amo con un amore straordinario, con un amore particolare.
ARL. Se vede veramente che ghe volì ben, se non altro per i bei regali che gh'andè facendo. Corpo de mi! Diese zecchini in merlo.
LEL. (ridendo) Che dici, Arlecchino, come a tempo ho saputo prevalermi dell'occasione?
ARL. L'è una bella spiritosa invenzion. Ma, sior padron, semo in casa de vostro padre, e gnancora no se magna.
LEL. Aspetta, non essere tanto ingordo.
ARL. Com'elo fatto sto vostro padre, che no l'ho gnancora visto.
LEL. È un buonissimo vecchio. Eccolo che viene.