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DOTT. (a Rosaura, di lontano) È questi?
ROS. Sì, ma...
DOTT. (a Rosaura, non sentito da Lelio) Andate dentro!
DOTT. (come sopra) Va dentro, non mi fare adirare!
ROS. Bisogna ch'io l'ubbidisca. (entra)
LEL. (Veramente mi sono portato bene. Gil-Blas non ha di queste belle avventure.)
DOTT. (All'aria si vede ch'è un gran signore; ma mi pare un poco bisbetico.)
LEL. (Ora conviene infinocchiare il padre, se sia possibile.) Signor Dottore, la riverisco divotamente.
DOTT. Le fo umilissima riverenza.
LEL. Non è ella il padre della signora Rosaura?
LEL. Ne godo infinitamente, e desidero l'onore di poterla servire.
DOTT. Effetto della sua bontà.
LEL. Signore, io son uomo che in tutte le cose mie vado alle corte. Permettetemi dunque, che senza preamboli vi dica ch'io sono invaghito di vostra figlia, e che la desidero per consorte.
DOTT. Così mi piace: laconicamente; ed io le rispondo che mi fa un onor che non merito, che gliela darò più che volentieri, quando la si compiaccia darmi gli opportuni attestati dell'esser suo.
LEL. Quando mi accordate la signora Rosaura, mi do a conoscere immediatamente.
DOTT. Non è ella il marchese Asdrubale?