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LEL. Signor padre, di voi appunto cercava.
PAN. Sior fio, vegnì giusto a tempo. Diseme, cognosseu a Napoli un certo sior Masaniello Capezzali?
LEL. L'ho conosciuto benissimo. (Costui sa tutte le mie bizzarrie, non vorrei che mio padre gli scrivesse.)
PAN. Elo un omo de garbo? Un omo schietto e sincero?
LEL. Era tale, ma ora non è più.
LEL. Perché il poverino è morto.
PAN. Da quando in qua xelo morto?
LEL. Prima ch'io partissi da Napoli.
PAN. No xè tre mesi che sè partio da Napoli?
PAN. Ve voggio dar una consolazion; el vostro caro amigo sior Masaniello xè resuscità.
LEL. Eh! Barzellette!
PAN. Vardè, questo xelo el so carattere?
LEL. Oibò, non è suo carattere. (Pur troppo è suo, che diavolo scrive?)
PAN. Seu seguro che nol sia el so carattere?
LEL. Son sicurissimo... E poi, se è morto.
PAN. (O che ste fede xè false, o che mio fio xè el prencipe dei busiari. Ghe vol politica per scoverzer la verità.)
LEL. (Sarei curioso di sapere che cosa contien quella lettera.) Signor padre, lasciatemi osservar
meglio, s'io conosco quel carattere.
PAN. Sior Masaniello no xelo morto?
PAN. Co l'è morto, la xè fenia. Lassemo sto tomo da parte, e vegnimo a un altro. Cossa aveu fatto al dottor Balanzoni?
LEL. A lui niente.
PAN. A lu gnente; ma a so fia?
LEL. Ella ha fatto qualche cosa a me.
PAN. Ella a ti? Cossa diavolo te porla aver fatto?
LEL. Mi ha incantato, mi ha acciecato. Dubito che mi abbia stregato.
PAN. Contime mo, com'ela stada?
LEL. Jeri, verso sera, andava per i fatti miei. Ella mi vide dalla finestra; bisogna dire che l'abbia innamorata quel certo non so che del mio viso, che innamora tutte le donne, e mi ha salutato con un sospiro. Io, che quando sento sospirar una femmina, casco morto, mi son fermato a guardarla. Figuratevi! I miei occhi si sono incontrati nei suoi. Io credo che in quei due occhi abbia due diavoli, mi ha rovinato subito, e non vi è stato rimedio.
PAN. Ti xè molto facile a andar zo col brenton.9 Dime, gh'astu fatto una serenata?
LEL. Oh pensate! Passò accidentalmente una serenata. Io mi trovai a sentirla. La ragazza ha creduto che l'avessi fatta far io, ed io ho lasciato correre.
PAN. E ti t'ha inventà d'esser stà in casa dopo la serenata?
LEL. Io non dico bugie. In casa ci sono stato.
LEL. Per dirvi la verità, sì signore, ho cenato con lei.
PAN. E no ti gh'ha riguardo a tôrte ste confidenze con una putta?
LEL. Ella mi ha invitato, ed io sono andato.
PAN. Te par che un omo maridà abbia da far de ste cosse?
LEL. È vero, ho fatto male: non lo farò più.
LEL. Quando non fosse morta mia moglie.
PAN. Perché ala da esser morta?
PAN. Dime un poco. Sastu chi sia quella siora Rosaura, colla qual ti ha parlà e ti xè stà in casa?
LEL. È la figlia del dottor Balanzoni.
PAN. Benissimo: e la xè quella che stamattina t'aveva proposto de darte per muggier.
LEL. Quella?
PAN. Sì, quella.
LEL. M'avete detto la figlia d'un bolognese.
PAN. Ben, el dottor Balanzoni xè bolognese.
LEL. (da sé) (Oh diavolo, ch'ho io fatto!)
PAN. Cossa distu? Se ti geri libero, l'averessistù tiolta volentiera?
LEL. Volentierissimo, con tutto il cuore. Deh, signor padre, non la licenziate; non abbandonate il trattato, pacificate il signor Dottore, teniamo in buona fede la figlia. Non posso vivere senza di lei.
LEL. Può essere che mia moglie sia morta.
PAN. Queste le xè speranze da matti. Abbi giudizio, tendi a far i fatti toi. Lassa star le putte. Siora Rosaura xè licenziada, e per dar una sodisfazion al Dottor, te tornerò a mandar a Napoli.
PAN. No ti va volentiera a veder to muggier?
LEL. Ah, voi mi volete veder morire!
LEL. Morirò, se mi private della signora Rosaura.
PAN. Ma quante muggier voressistu tior? Sette, co fa i Turchi?
PAN. Ben, ti gh'ha siora Briseide.
LEL. Signor padre, eccomi a' vostri piedi. (s'inginocchia)
PAN. Via mo, cossa vorressi dir?
LEL. Vi domando mille volte perdono.
LEL. Briseide è una favola, ed io non sono ammogliato.
PAN. Bravo, sior, bravo! Sta sorte de panchiane10 piantè a vostro pare? Leveve su, sier cabalon, sier busiaro; xela questa la bella scuola de Napoli? Vegnì a Venezia, e appena arrivà, avanti de veder vostro pare, ve tacché con persone che no savè chi le sia, dè da intender de esser napolitan, Don Asdrubale de Castel d'Oro, ricco de milioni, nevodo de prencipi, e poco manco che fradello de un re; inventè mille porcaríe in pregiudizio de do putte oneste e civil. Sè arrivà a segno de ingannar el vostro povero pare. Ghe dè da intender che sè maridà a Napoli: tirè fuora la siora Briseide, sior Policarpio, el relogio de repetizion, la pistòla; e permettè che butta via delle lagreme de consolazion per una niora imaginaria, per un nevodo inventà e lassè che mi scriva una lettera a vostro missier,11 che sarave sta' fidecommisso perpetuo alla posta de Napoli. Come diavolo feu a insuniarve ste cosse? Dove diavolo troveu la materia de ste maledette invenzion? L'omo civil no se destingue dalla nascita, ma dalle azion. El credito del marcante consiste in dir sempre la verità. La fede xè el nostro mazor capital. Se no gh'avè fede, se no gh'avè reputazion, sarè sempre un omo sospetto, un cattivo mercante, indegno de sta piazza, indegno della mia casa, indegno de vantar l'onorato cognome dei Bisognosi.
LEL. Ah, signor padre, voi mi fate arrossire. L'amore che ho concepito per la signora Rosaura, non sapendo esser quella che destinata mi avevate in isposa, mi ha fatto prorompere in tali e tante menzogne, contro la delicatezza dell'onor mio, contro il mio sincero costume.
PAN. Se fusse vero che fussi pentio, no sarave gnente. Ma ho paura che siè busiaro per natura, e che fe pezo per l'avegnir.
LEL. No certamente. Detesto le bugie e le aborrisco. Sarò sempre amante della verità. Giuro di non lasciarmi cader di bocca una sillaba nemmeno equivoca, non che falsa. Ma per pietà, non mi abbandonate. Procuratemi il perdono dalla mia cara Rosaura, altrimenti mi vedrete morire. Anche poc'anzi, assalito dall'eccessiva passione, ho gettato non poco sangue travasato dal petto.
PAN. (Poverazzo! El me fa peccà.) Se me podesse fidar de ti, vorave anca procurar de consolarte: ma gh'ho paura.
LEL. Se dico più una bugia, che il diavolo mi porti.
PAN. Donca a Napoli no ti xè maridà.
LEL. No certamente.
PAN. Gh'astu nissun impegno con nissuna donna?
LEL. Con donne non ho mai avuto verun impegno.
PAN. Né a Napoli, né fora de Napoli?
LEL. Non direi più una bugia per tutto l'oro del mondo.
PAN. Gh'astu le fede del stato libero?
LEL. Non le ho, ma le aspetto a momenti.
PAN. Se le fusse vegnue, averessistu gusto?
LEL. Il ciel volesse; spererei più presto conseguir la mia cara Rosaura.
PAN. Varda mo. Cossa xele queste? (dà le fedi a Lelio)
LEL. Oh me felice! Queste sono le mie fedi dello stato libero.
PAN. Me despiase che le sarà false.
LEL. Perché false? Non vedete l'autentica?
PAN. Le xè false, perché le spedisse un morto.
PAN. Varda, le spedisse sior Masaniello Capezzali, el qual ti disi che l'è morto che xè tre mesi.
LEL. Lasciate vedere; ora riconosco il carattere. Non è Masaniello, il vecchio, che scrive; è suo figlio, il mio caro amico. (ripone le fedi)
PAN. E el fio se chiama Masaniello, come el pare?
LEL. Sì, per ragione di una eredità, tutti si chiamano col medesimo nome.
PAN. L'è tanto to amigo, e no ti cognossevi el carattere?
LEL. Siamo sempre stati insieme, non abbiamo avuto occasione di carteggiare.
PAN. E ti cognossevi el carattere de so pare?
LEL. Quello lo conoscevo, perché era banchiere e mi ha fatto delle lettere di cambio.
PAN. Ma xè morto so pare, e sto sior Masaniello no sigilla la lettera col bolin negro?
LEL. Lo sapete pure: il bruno non si usa più.
PAN. Lelio, no vorria che ti me contassi delle altre fandonie.
LEL. Se dico più una bugia sola, possa morire.
PAN. Tasi là, frasconazzo. Donca ste fede le xè bone?
LEL. Buonissime; mi posso ammogliar domani.
PAN. E i do mesi e più che ti xè stà a Roma?
LEL. Questo non si dice a nessuno. Si dà ad intendere che sono venuto a dirittura da Napoli a Venezia. Troveremo due testimoni che l'affermeranno.
PAN. Da resto po, non s'ha da dir altre busie.
LEL. Questa non è bugia, è un facilitare la cosa.
PAN. Basta. Parlerò col Dottor, e la discorreremo. Vardè sta lettera, che m'ha dà el portalettere.
LEL. Viene a me?
PAN. A vu; gh'ho dà sette soldi. Bisogna che la vegna da Roma.
LEL. Può essere. Datemela, che la leggerò.
PAN. Con vostra bona grazia, la voggio lezer mi. (l'apre bel bello)
LEL. Ma favoritemi... la lettera è mia.
PAN. E mi son vostro pare, la posso lezer.
LEL. Come volete... (Non vorrei nascesse qualche nuovo imbroglio).
PAN. (legge) Carissimo sposo. (guardando Lelio) Carissimo sposo?
LEL. Quella lettera non viene a me.
All'Illustriss. Sign. Sign. e Padron Colendiss.
Il Sign. Lelio Bisognosi – Venezia.
LEL. Vedete che non viene a me.
PAN. No, perché?
LEL. Noi non siamo illustrissimi.
PAN. Eh, al dì d'ancuo i titoli i xè a bon marcà, e po ti, ti te sorbiressi anca dell'Altezza. Vardemo chi scrive: Vostra fedelissima sposa Cleonice Anselmio.
LEL. Sentite? La lettera non viene a me.
LEL. Perché io questa donna non la conosco.
PAN. Busie non ti ghe n'ha da dir più.
PAN. A chi vustu che sia indrizzada sta lettera?
LEL. Vi sarà qualcun altro che avrà il nome mio ed il cognome.
PAN. Mi gh'ho tanti anni sul cesto, e non ho mai sentio che ghe sia nissun a Venezia de casa Bisognosi, altri che mi.
LEL. A Napoli ed a Roma ve ne sono.
PAN. La lettera xè diretta a Venezia.
LEL. E non vi può essere a Venezia qualche Lelio Bisognosi di Napoli o di Roma?
PAN. Se pol dar. Sentimo la lettera.
LEL. Signor padre, perdonatemi, non è buona azione leggere i fatti degli altri. Quando si apre una lettera per errore, si torna a serrar senza leggerla.
PAN. Una lettera de mio fio la posso lezer.
LEL. Ma se non viene a me.
LEL. (Senz'altro, Cleonice mi dà de' rimproveri. Ma saprò schermirmi colle mie invenzioni).
PAN. La vostra partenza da Roma mi ha lasciata in una atroce malinconia, mentre mi avevate promesso di condurmi a Venezia con voi, e poi tutto in un tratto siete partito...
LEL. Se lo dico, non viene a me.
PAN. Mo se la dise che l'è partio per Venezia.
LEL. Bene: quel tale sarà a Venezia.
PAN. Ricordatevi che mi avete data la fede di sposo.
LEL. Oh, assolutamente non viene a me.
PAN. Digo ben; vu no gh'avè impegno con nissuna.
LEL. No certamente.
PAN. Busie no ghe ne disè più.
LEL. Mai più.
LEL. (Questa lettera vuol esser compagna del sonetto.)
PAN. Se mai aveste intenzione d'ingannarmi, state certo che in qualunque luogo saprò farmi fare giustizia.
LEL. Qualche povera diavola abbandonata.
PAN. Bisogna che sto Lelio Bisognosi sia un poco de bon.
LEL. Mi dispiace che faccia torto al mio nome.
PAN. Vu sè un omo tanto sincero...
PAN. Sentimo el fin. Se voi non mi fate venire costì, e non risolvete sposarmi, farò scrivere da persona di autorità al signor Pantalone vostro padre... Olà! Pantalon?
LEL. Oh bella! S'incontra anco il nome del padre.
PAN. So che il signor Pantalone è un onorato mercante veneziano... Meggio! E benché siate stato allevato a Napoli da suo fratello... Via, che la vaga,. avrà dell'amore e della premura per voi, e non vorrà vedervi in una prigione, mentre sarò obbligata manifestare quello che avete levato dalle mie mani, in conto di dote. Possio sentir de pezo?
LEL. Io gioco che questa è una burla d'un mio caro amico...
PAN. Una burla de un vostro amigo? Se vu la tiolè per burla, sentì cossa che mi ve digo dasseno. In casa mia no ghe mettè né piè, né passo. Ve darò la vostra legittima. Andè a Roma a mantegnir la vostra parola.
PAN. Via de qua, busiaro infame, busiaro baron, muso duro, sfrontà, pezo d'una palandrana.12 (parte)
LEL. Forti, niente paura. Non mi perdo d'animo per queste cose. Per altro non voglio dir più bugie. Voglio procurare di dir sempre la verità. Ma se qualche volta il dir la verità non mi giovasse a seconda de' miei disegni? L'uso delle bugie mi sarà sempre una gran tentazione. (parte)