Carlo Goldoni
Il buon compatriotto

ATTO PRIMO

SCENA QUARTA   Camera in casa di Pantalone.

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SCENA QUARTA

 

Camera in casa di Pantalone.

 

Isabella e Brighella; poi un Servitore.

 

ISAB. No, Brighella: dica quel che vuole mio padre, non sarà mai vero ch'io lasci disporre della mia mano a dispetto del cuore. Ridolfo mi ha innamorata in Livorno, ed ho portato meco lo stesso amore, e son la stessa in Venezia, e lo sarò fin ch'io viva. Vero è che Ridolfo da Livorno partissi tre mesi prima di me, e non ebbi da lui che una lettera sola, ma mi lusingo della sua fedeltà, spero non scorderassi della sua costante Isabella; sa ch'io doveva tornar alla patria per ordine del padre mio, e ogni momento l'aspetto, e mi pare ognor di vederlo.

BRIGH. (La consiglia a rassegnarsi al padre. Le dice essere il signor Ridolfo un forastiere che si dice gentiluomo napolitano, ma che non si sa bene chi sia; che è partito da Livorno, e forse si sarà scordato di lei. Che le ha scritto una sola lettera in tre mesi, e che fa male a fidarsi senz'alcun fondamento)

ISAB. Può essere che Ridolfo m'inganni, ma non lo credo, ed io non voglio essere la prima a mancar di fede. S'egli mi abbandonasse, potrebbe darsi ch'io mi scordassi di lui, ma lo credo difficile. Ho troppo radicata questa passione nel seno. Ridolfo fu il mio primo amore, e sarà l'ultimo probabilmente.

BRIGH. (Che se vedrà il signor Leandro, da lui benissimo conosciuto, le piacerà, e sarà contenta)

ISAB. È difficile che altri possan piacermi coll'immagine di Ridolfo nel cuore impressa.

BRIGH. (Mostra dispiacere di questa cosa perché essendo egli stato a Livorno con lei dieci anni, parerà presso il signor Pantalone suo padrone, ch'egli abbia tenuta mano ai di lei amori)

ISAB. Eh no, Brighella, non vi prendete pena di ciò. Sa bene mio padre, che nella casa di mio zio in Livorno, dove fui, posso dire, allevata, si vivea con maggior libertà di quella che si pratica qui in casa nostra. Sarà persuaso ch'io abbia avuto il comodo d'innamorarmi, senza l'aiuto d'un servitore.

BRIGH. (Se dunque è disposta a voler palesare a suo padre la sua passione)

ISAB. Lo farò, quando sarò costretta a doverlo fare.

BRIGH. (Che ci pensi prima di farlo)

ISAB. Ho pensato, ho risolto, e non vi è ragione che mi persuada in contrario.

BRIGH. (Dice da sé, che col tempo suole avvertir Pantalone, per isfuggire il pericolo d'essere rimproverato e creduto a parte di questa tresca)

ISAB. (Non credo mai che Ridolfo sia capace di tradirmi, di abbandonarmi).

SERV. Xe qua siora Costanza, che vorria reverirla.

ISAB. Qual signora Costanza?

SERV. Siora Costanza Grassetti.

ISAB. Sì, sì, ora mi sovviene. Era mia amica quand'eravamo in età ancor tenera. È molto, che si ricordi di me. Venga, è padrona. La vedrò assai volentieri.

SERV. (Parte)

ISAB. Vi ricordate voi della signora Costanza?

BRIGH. (Che se ne ricorda benissimo, e che sa essere stata maritata, e che ora è vedova)

ISAB. Mi pare, sì, mi pare ora ricordarmene.

BRIGH. (Dice che la signora Costanza si è maritata male, ed ora sta magramente, e dovrebbe ella prendere esempio, e maritarsi con quello che le destina suo padre)

ISAB. Lasciamo andare questi discorsi. Ecco la signora Costanza. Preparate due sedie.

BRIGH. (Prepara le sedie, e va dicendo da sé, che la padrona vuol rovinarsi, che le fanciulle non hanno giudizio, ma che vuol avvisare il padrone, e parte)

 

 

 


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