Carlo Goldoni
Il buon compatriotto

ATTO SECONDO

SCENA TREDICESIMA   Camera d'Isabella.   Isabella, poi un Servitore

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SCENA TREDICESIMA

 

Camera d'Isabella.

 

Isabella, poi un Servitore

 

ISAB. Non è picciolo il combattimento ch'io soffro nell'animo, fra il pensiere che mi ricorda Ridolfo, e lo sforzo ch'io deggio far per obbedire a mio padre. Dovrebbe incoraggirmi a staccarmi dal cuore l'amante, sentirlo in novelli amori invischiato, ma non lo credo, e quand'anche il credessi, la sua infedeltà non basterebbe a distruggere la mia passione. Oh cieli! troppo tenera son io di cuore, e troppo facile alle lusinghe.

SERV. La perdoni, è qua un signor che desidera riverirla.

ISAB. Sapete chi sia?

SERV. No lo cognosso. El xe un forestier.

ISAB. Domanda di me, o di mio padre?

SERV. El domanda de ela.

ISAB. Fatevi dire chi è.

SERV. Ghe l'ho ditto ch'el me diga chi el xe, e nol lo vol dir.

ISAB. Ditegli che mi scusi, ch'io son qui sola, che non vi è mio padre, e ch'io non ricevo chi non conosco.

SERV. Benissimo, ghe lo dirò. (parte)

ISAB. Chi mai può essere? Ridolfo non crederei. Sa ch'io sono in casa di mio padre, non si prenderebbe una simile libertà.

 

 

 


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