Carlo Goldoni
Il buon compatriotto

ATTO SECONDO

SCENA QUATTORDICESIMA   Ridolfo e la suddetta; poi il Servitore

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

Ridolfo e la suddetta; poi il Servitore

 

RID. Possibile che non mi sia permesso di riverirvi?

ISAB. Oh cieli! Voi qui, signore?

RID. Son qui, impazientissimo di rivedervi.

ISAB. In casa mia non si viene senza la permissione di mio padre.

RID. Vostro padre non c'è, e voi potete accordarmi un momento di grazia.

ISAB. È molto, signore, che vi ricordiate ancora di me.

RID. Potete voi dubitare ch'io mi dimentichi dell'amor vostro e dell'amor mio?

ISAB. Veramente la parola che data mi avete, doveva farvene sovvenire anche prima d'ora.

RID. Subito che ho avuta nuova di voi, sono volato a protestarvi lo stesso affetto e la stessa stima.

ISAB. Che dirà ella, se arriva a saperlo, la vostra tenera albergatrice?

RID. Come, signora? Dove io pago il mio danaro, dovrò aver soggezione?

ISAB. Oltre al danaro, non le avete voi accordata la grazia vostra e il vostro cuore medesimo?

RID. V'ingannate, se ciò credete; il cuor mio è tutto vostro, e mi lusingo che non siate meco né infedeleingrata.

ISAB. Ah! signor Ridolfo ora sono in balìa di mio padre; egli intende di voler disporre di me.

RID. E voi acconsentirete a privarmi del vostro cuore?

ISAB. Ne avete fatto finora sì poco conto, che non mi ho creduto in debito di custodirlo per voi.

RID. Quest'è un annunzio di morte, è un eccesso di crudeltà, è un motivo per me di disperazione.

ISAB. Se il vostro labbro dicesse il vero parerebbe che voi m'amaste colla maggior tenerezza del mondo.

RID. N'avete dubbio, signora?

ISAB. Per dire la verità, non vi credo.

RID. Ah barbara, non mi credete? Sì, vi farò conoscere s'io dico il vero, o se io mento. Lo vedrete a vostro rossore, ma tardo sarà allora per me il vostro conoscimento; vedrete, sì, vedrete s'io v'amo, allora quando vi cadrò a' piedi svenato. Misero me! Isabella mia non mi crede. Ah sì, ora con questa spada... (mette la mano sulla guardia della spada)

ISAB. Fermatevi, signor Ridolfo. (lo trattiene)

RID. No, lasciatemi.

ISAB. Fermatevi, per amor del cielo.

RID. Barbara! Non credete ch'io v'ami?

ISAB. Sì, lo credo, acchetatevi.

RID. E sarà possibile ch'io vi abbia a perdere?

ISAB. Oh cieli! come mi potrò esimere dal voler di mio padre?

RID. Io non vi deggio dare consiglio. Consigliatevi col cuor vostro.

ISAB. Il mio cuore è troppo angustiato.

RID. Amore v'aiuterà a serenarlo.

ISAB. Ah! voglia il cielo ch'io non soccomba.

SERV. Signora, xe qua el patron con dei forastieri.

ISAB. Mio padre. (a Ridolfo, con ansietà)

RID. Che volete ch'io faccia?

ISAB. Partite subito. Ma no; per di l'incontrate. Partite per la scala segreta. (a Ridolfo) Voi compagnatelo per la via segreta, e per amor del cielo non dite niente a mio padre. (al Servitore)

SERV. La vegna con mi, signor: no la s'indubita gnente. (Poverazza! Le putte le me fa compassion). (parte)

RID. Non vi scordate di me. (partendo)

ISAB. Me ne ricordo pur troppo.

RID. Amatemi, ch'io vi son fedele. (partendo)

ISAB. Può essere, ma ne dubito ancora.

RID. Giuro al cielo! (tornando indietro con caldo)

ISAB. Partite. (con forza)

RID. Non mi fate fare degli spropositi. (Quando ci trovo delle difficoltà, allora m'innamoro come una bestia). (parte)

 

 

 


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