Carlo Goldoni
La burla retrocessa nel contraccambio

ATTO QUARTO

SCENA SECONDA   Gottardo, poi Placida e l'oste

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SCENA SECONDA

 

Gottardo, poi Placida e l'oste

 

GOTT. Colle buone non si fa niente. Bisogna alzar la voce per forza.

OSTE Servitor umilissimo, mio padrone.

GOTT. La riverisco divotamente.

OSTE Scusi, è ella il signor Gottardo?

GOTT. Per servirla.

OSTE Mi consolo infinitamente d'aver l'onor di conoscerla e di riverirla.

GOTT. Chi è in grazia vossignoria?

OSTE L'oste della Fortuna, per obbedirla.

PLAC. (Passeggia ed ascolta)

GOTT. E in che cosa vi posso servire?

OSTE Prima di tutto la prego dirmi s'ella è restata di me contenta.

GOTT. Di che, signore?

OSTE Del pranzo di questa mattina.

GOTT. Io?

PLAC. Come! Siete voi stato all'osteria? (a Gottardo) Il signor Gottardo è venuto alla vostra osteria? (all'Oste)

OSTE Non signora; io parlo del pranzo, che ho avuto l'onore di mandargli a casa questa mattina.

PLAC. Un pranzo a casa!

GOTT. Tacete una volta. Lasciate parlare a me. (a Placida) Signore, io credo che prendiate sbaglio. (all'Oste)

OSTE Scusi; io non isbaglio altrimenti. Io son l'oste della Fortuna; io sono quello che le ha mandato qui in questa casa un desinare per cinque persone, a sei paoli a testa.

GOTT. A me?

OSTE A lei. Non è ella il signor Gottardo?

PLAC. Oh, ecco avverato il mio sospetto. Mi ha mandato via di casa, non ha voluto il signor Pandolfo, per dar da mangiare a della canaglia.

GOTT. Ma voi mi volete far perdere la pazienza. (a Placida) E chi è che vi ha ordinato questo pranzo? Dite, parlate: sono stato io che ve l'ha ordinato? (all'Oste)

OSTE Se ella non me l'ha ordinato, ho servito in questa casa, e me l'hanno comandato a di lei nome.

GOTT. E chi è che vi ha comandato?

OSTE Il signor suo fratello.

GOTT. Oh amico, voi sbagliate, o sognate, o siete fuori di cervello. Io non ho fratelli, io non ne so niente, e vi consiglio a lasciarmi stare.

OSTE Signore, la non parli così, perché ho il modo di convincerla, e di farmi render ragione.

PLAC. Sì, sì, vi farà ragione da sé; non dubitate. Dice così, perché sono qui io, perché ha soggezione di me. Ha fatto passar qualcheduno per suo fratello, per coprire la bricconata. Sa il cielo, chi è stato a mangiare in casa mia. Ditemi, galantuomo, sapete voi che vi fossero donne?

OSTE Questi non sono i miei affari. So che ho dato un pranzo per cinque persone a sei paoli a testa.

GOTT. Ma chi erano costoro? Li conoscete?

OSTE Io non so niente. Mi hanno detto i garzoni che vi erano quattro uomini e una donna, e non so altro.

PLAC. Una donna! Vi era anche una donna? Ah traditore! ah ingrato! ah perfido! (a Gottardo)

GOTT. Tacete, Placida, che or ora mi fate fare qualche bestialità. Signor oste, io sono un galantuomo, incapace di far stare nessuno, e vi dico ch'io non ne so niente, e non ne so niente. (scaldandosi)

OSTE Orsù, signore, su quest'articolo parleremo poi; intanto favorisca almeno di darmi la mia biancheria, i miei piatti, e le mie posate d'argento.

GOTT. Io?

OSTE Sì, ella che se n'è servito.

GOTT. Mi fareste venir la rabbia davvero.

OSTE Come! vorrebbe ella negarmi ancora le mie posate d'argento?

GOTT. Vi dico che sono un uomo d'onore, e non ne so niente.

OSTE Ed io le dico che sono stato avvisato che la mia roba è qui, e che hanno tutto riposto in un armadio e ci scommetterei che è quello ch'è .

GOTT. Non è vero niente.

PLAC. Vediamo, vediamo, presto vediamo. (corre all'armadio, lo apre e si vede tutto) Ah ah, signor marito!

GOTT. (Io resto di sasso). (da sé, mortificato)

PLAC. Ecco qui, posate, biancheria, piatti, boccie, bicchieri; negatelo ora, se vi l'animo. (a Gottardo)

GOTT. Lasciatemi stare. (Non so in che mondo mi sia). (da sé)

OSTE Si contenta ch'io prenda la roba mia? (a Gottardo)

GOTT. Prendete quel che diavolo volete.

OSTE Ehi, giovani, venite avanti. (alla porta)

 

 

 


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