Dei! scorre l’ora, e col bramato avviso
Non giunge il mio fedele! Intorno al solo
Mal custodito ponte ognun raccolto
Esser dovrebbe. Un trascurato istante
Impossibil potria render di Roma
La facile sorpresa. Ah, qualche inciampo
Forse!... Ma qual? Di me lor duce al cenno
Ubbidiscon le schiere; in Roma ognuno
Su la tregua riposa; Orazio immerso
Nel finto patto, in mente
Aver altro or non può. Qual dunque è mai
L’ostacolo impensato? Ah, troppo ingiusti
Sareste, o dèi, se permetteste al caso
Di scompor sì bell’opra! Io re di Roma,
Possessor son di Clelia; io dell’infranta
Tregua il rossor rovescerò, se giova,
Su i ribelli Romani; io... no, non posso
Più soffrir quest’indugio. Il pigro avviso
A prevenir si corra. (nel voler entrare nella scena
esce il messaggiero atteso) Eccolo. È pronto
Quanto v’imposi al fin? (il messaggiero risponde
accennando coerentemente al desiderio ed alla richiesta di Tarquinio) Lode
agli dèi!
Va, pel cammin più corto
Precedimi, io ti sieguo. (parte il messaggiero)
Eccomi in porto.
Ma non è quegli Orazio? È desso. Oh, come
Mesto, lento e confuso
S’avanza a questa volta! Alla sua bella
L’immaginato patto
Va il credulo a proporre. Ei vada; e mentre
In teneri congedi
Si tormentano i folli, e che non sono
D’altra cura capaci, io volo al trono. (parte)
|