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Pietro Metastasio
Zenobia

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SCENA UNDICESIMA

 

Zenobia e detti.

 

ZEN.

Principe...

TIR.

Il grande arcano,

Lode al Ciel, si scoperse. Al fin palese

È pur de’ torti miei

La sublime cagion. Parla: che vuoi?

Non t’arrossir: di Radamisto il merto

Scusa l’infedeltà. Libero il chiedi?

Lo brami sposo? ho da apprestar le tede

Al felice imeneo?

ZEN.

Signor...

TIR.

Tiranna!

Barbara! menzognera! il premio è questo

Del tenero amor mio? Così tradirmi?

E per chi, giusti dèi! per chi d’un padre

Ti privò fraudolento, e poi...

ZEN.

T’inganni;

Mentì la fama.

MIT.

(a Tiridate)

È ver: da Farasmane

 

Il colpo venne. Il perfido Zopiro

Lo palesò morendo.

TIR.

E tu dài fede

A un traditor?

MIT.

Sì: lo conferma un foglio

Ch’ei seco avea. Del tradimento in esso

Son gli ordini prescritti, e Farasmane

Di sua mano il vergò.

ZEN.

Vedi se a torto...

TIR.

Taci: il tuo amor per Radamisto accusi,

Mentre tanto il difendi.

ZEN.

È vero, io l’amo,

Non pretendo celarlo. Il suo periglio

Qui mi conduce. A liberarlo io vengo,

Vengo a chiederlo a te; ma reco il prezzo

Della sua libertà. D’Armenia il soglio

M’offre Roma di nuovo: in mio soccorso

Già le schiere latine

Mossero dalla Siria; al soglio istesso

Te pur chiaman gli Armeni: io, se tu vuoi,

Secondo il lor disegno:

Rendimi Radamisto; abbiti il regno.

TIR.

Per un novello amante

In vero il sacrifizio è generoso.

ZEN.

Ma eccessivo non è per uno sposo.

TIR.

Sposo!

ZEN.

Appunto.

TIR.

Ed è vero? e un tal segreto

Mi si cela fin or?

ZEN.

Contro il consorte

Dubitai d’irritarti, il tuo temei

Giusto dolor; non mi sentia capace

D’esserne spettatrice; e almen da lungi...

TIR.

Oh instabile! oh crudele!

Oh ingratissima donna! A chi fidarsi,

A chi creder, Mitrane? È tutto inganno

Quanto s’ascolta e vede:

Zenobia mi tradì; non v’è più fede.

ZEN.

Non son io, Tiridate,

Quella che ti tradì; fu il Ciel nemico,

Fu il comando d’un padre. Io non so dirti

Se timore o speranza

Cambiar lo fe’: so che partisti, e ad altro

Sposo mi destinò.

TIR.

Né tu potevi...

ZEN.

Che potevo? infelice! ‘E regno e vita

E onor’ mi disse ‘a conservarmi, o figlia,

Ecco l’unica strada.’ Or di’: che avresti

Saputo far tu nel mio caso?

TIR.

Avrei

Saputo rimaner di vita privo.

ZEN.

Io feci più: t’ho abbandonato, e vivo.

Non giovava la morte

Che a far breve il mio duol: te ucciso avrei,

Disubbidito il padre.

TIR.

I nuovi lacci

Però non ti son gravi: assai t’affanni

Per salvar Radamisto. Egli ha saputo

Lusingare il tuo cor. Fu falso, il vedo,

Che svenarti ei tentò.

ZEN.

Fu ver; ma questo

Non basta a render gravi i miei legami.

TIR.

Non basta?

ZEN.

No.

TIR.

Tentò svenarti, e l’ami?

E l’ami a questo segno,

Che m’offri per salvarlo in prezzo un regno?

ZEN.

Sì, Tiridate; e, s’io facessi meno,

Tradirei la mia gloria,

L’onor degli avi miei,

L’obbligo di consorte, i santi numi

Che fur presenti all’imeneo, te stesso,

Te, prence, io tradirei. Dove sarebbe

Quell’anima innocente,

Quel puro cor che in me ti piacque? Indegna,

Dimmi, allor non sarei d’averti amato?

TIR.

Quanta, ahi quanta virtù m’invola il fato!

ZEN.

Deh! s’è pur ver che nasca

Da somiglianza amor, perché combatti

Col tuo dolor questa virtù? L’imìta,

La supera, signor: tu il puoi; conosco

Dell’alma tua tutto il valor. Lasciamo

Le vie de’ vili amanti. Emula accenda

Fiamma di gloria i nostri petti. Un vero

Contento avrem nel rammentar di quanto

Fummo capaci. Apprenderà la terra

Che, nato in nobil core,

Frutti sol di virtù produce amore.

TIR.

Corri, vola, Mitrane: a noi conduci

Libero Radamisto. (Mitrane parte) Oh, come volgi,

Gran donna, a tuo piacer gli altrui desiri!

Un’altra ecco m’inspiri

Spezie d’ardor, che il primo estingue. Invidio

Già il tuo gran cor; bramo emularlo; ho sdegno

Di seguirtitardo: altro mi trovo

Da quel che fui. Non t’amo più: t’ammiro,

Ti rispetto, t’adoro; e, se pur t’amo,

Della tua gloria amante,

Dell’onor tuo geloso,

Imitator de’ puri tuoi costumi,

T’amo come i mortali amano i numi.

ZEN.

Grazie, o dèi protettori! Or più nemici

Non ha la mia virtù: vinsi il più forte,

Ch’era il pensier del tuo dolor. Va, regna,

Prence, per me; ne sei ben degno.

TIR.

Ah! taci:

Non m’offender così. Prezzo io non chiedo,

Cedendo la cagion del mio bel foco;

E, se prezzo chiedessi, un regno è poco.

 

 

 




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