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Pietro Metastasio
Antigono

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SCENA OTTAVA

 

Berenice fra custodi, e detti.

 

BEREN.

Io son, lo vedo,

Fra’ tuoi lacci, Alessandro, e ancor nol credo.

A’ danni di chi s’ama, armar feroce

I popoli soggetti

È nuovo stil di conquistare affetti.

ANT.

(Mille furie ho nel cor).

ALESS.

Guardami in volto,

Principessa adorata, e dimmi poi

Qual più ti sembri il prigionier di noi.

ISM.

(Infido!)

ANT.

(Audace!)

ALESS.

Io di due scettri adorna

T’offro la destra, o mio bel nume, e voglio

Che mia sposa t’adori e sua regina

Macedonia ed Epiro. Andiam. Mi sembra

Lungo ogni istante. Ho sospirato assai.

ANT.

Ah! tempo è di morir. (vuole uccidersi)

ISM.

(trattenendolo)

Padre, che fai?

ALESS.

Qual furor! Si disarmi. (gli vien tolta la spada)

ANT.

E vuoi la morte

Rapirmi ancora?

ALESS.

Io de’ trasporti tuoi,

Antigono, arrossisco. In faccia all’ire

Della nemica sorte,

Chi nacque al trono esser dovria più forte.

ANT.

No, no: qualor si perde

L’unica sua speranza,

È viltà conservarsi, e non costanza.

ALESS.

Consolati: al destino

L’opporsi è van. Son le vicende umane

Da’ fati avvolte in tenebroso velo;

E i lacci d’Imeneo formansi in Cielo.

ANT.

(Fremo!)

ALESS.

Andiam, Berenice; e innanzi all’ara

La destra tua, pegno d’amor...

BEREN.

T’inganni,

Se lo speri, Alessandro. Io promisi

Ad Antigono: il sai.

ANT.

(Respiro!)

ALESS.

Il sacro

Rito non vi legò.

BEREN.

Basta la fede

A legar le mie pari.

ANT.

(Ah, qual contento

M’inonda il cor!)

ALESS.

Può facilmente il nodo,

Onde avvinta tu sei,

Antigono disciorre.

BEREN.

Io non vorrei.

ALESS.

No! (resta immobile)

ANT.

Che avvenne, Alessandro? onde le ciglia

stupide e confuse? onde le gote

Così pallide e smorte?

Chi nacque al trono esser dovria più forte.

ALESS.

(Che oltraggio, oh dèi!)

ANT.

Consolati. Al destino

Sai che l’opporsi è van.

ALESS.

Dunque io non venni

Qui che agl’insulti ed a’ rifiuti!

ANT.

Avvolge

Gli umani eventi un tenebroso velo;

E i lacci d’Imeneo formansi in Cielo.

ALESS.

Toglietemi, o custodi,

Quell’audace d’innanzi.

ANT.

In questo stato

A rendermi infelice io sfido il fato.

 

Tu m’involasti un regno,

Hai d’un trionfo il vanto;

Ma tu mi cedi intanto

L’impero di quel cor.

Ci esamini il sembiante;

Dica ogni fido amante

Chi più d’invidia è degno:

Se il vinto o il vincitor.

(parte, seguìto da guardie)

 

 

 




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