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Pietro Metastasio
Antigono

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SCENA TERZA

 

Demetrio, poi  Berenice

 

DEM.

Misero me, che ottenni! Ah, Berenice,

Tu d’Alessandro, e per mia mano! Ed io

Esser quello dovrei... No, non mi sento

Tanto valor: morrei di pena; è impiego

Troppo crudel... Che! puoi salvare un padre

Figlio ingrato, e vacilli? Il dubbio ascondi;

Non sappia alcun vivente i tuoi rossori:

Se dovessi morir, salvalo e mori.

Ardir! l’indugio è colpa. Andiam... Ma viene

La principessa appunto. Ecco il momento

Di far la prova estrema.

Assistetemi, o numi: il cor mi trema.

BEREN.

(Qui Demetrio! S’evìti: è troppo rischio

L’incontro suo). (da sé, in atto di ritirarsi, vedendo Demetrio)

DEM.

Deh! non fuggirmi: un breve

Istante odimi, e parti.

BEREN.

(severa)

In questa guisa

 

Tu i giuramenti osservi? Ogni momento

Mi torni innanzi?

DEM.

(appassionato)

Il mio destino...

BEREN.

(severa)

Addio:

 

Non voglio udir.

DEM.

Ma per pietà...

BEREN.

(impaziente)

Che brami?

 

Che pretendi da me?

DEM.

Rigorgrande

Non meritò mai di Demetrio il core.

BEREN.

(Ah! non sa che mi costa il mio rigore).

DEM.

Ricusar d’ascoltarmi...

BEREN.

E ben: sia questa

L’ultima volta; e misurati e brevi

Siano i tuoi detti.

DEM.

Ubbidirò. (Che pena,

Giusti numi, è la mia!) De’ pregi tuoi

Eccelsa Berenice

Ogni alma è adoratrice. (tenero)

BEREN.

(confusa)

(Aimè! spiegarsi

 

Ei vuole amante).

DEM.

(tenero)

Ognun che giunga i lumi

 

Solo a fissarti in volto...

BEREN.

Prence, osserva la legge, o non t’ascolto. (severa)

DEM.

L’osserverò. (Costanza!) (si ricompone) Il re d’Epiro

Arde per te; gli affetti tuoi richiede:

Io gl’imploro per lui.

BEREN.

(sorpresa)

Per chi gl’implori?

DEM.

Per Alessandro.

BEREN.

Tu!

DEM.

Sì. Render puoi

Un gran re fortunato.

BEREN.

E mel consigli?

DEM.

Io te ne priego.

BEREN.

(Ingrato!

Mai non m’amò).

DEM.

Perché ti turbi?

BEREN.

(con ironia sdegnosa)

Ha scelto

 

Veramente Alessandro

Un opportuno intercessor. Gran dritto

In vero hai tu di consigliarmi affetti.

DEM.

La cagion se udirai...

BEREN.

Necessario non è: troppo ascoltai. (vuol partire)

DEM.

Ah! senti. Al padre mio

E regno e libertà rende Alessandro,

S’io gli ottengo il tuo amor. Della mia pena

Deh! non rapirmi il frutto: è la più grande

Che si possa provar. (con espressione)

BEREN.

(con ironia)

Parmi che tanto

 

Codesta pena tua crudel non sia.

DEM.

Ah! tu il cor non mi vedi, anima mia.

Sappi...

BEREN.

(sdegnosa) Prence, vaneggi? A quale eccesso...

DEM.

A chi deve morir tutto è permesso.

BEREN.

Taci.

DEM.

Sappi ch’io t’amo, e t’amo quanto

Degna d’amor tu sei; che un sacro... oh Dio!...

Dover m’astringe a favorir gli affetti

D’un felice rivale.

Or di’: qual pena è alla mia pena uguale?

BEREN.

Ma, Demetrio! (Ove son?) Credei... Dovresti..

Quell’ardir m’è sì nuovo... (confusa)

(Sdegni miei, dove siete? Io non vi trovo).

DEM.

Pietà, mia bella fiamma: il caso mio

N’è degno assai. Lieto morrò, s’io deggio

A una man così cara il genitore.

BEREN.

Basta. (E amar non degg’io sì amabil core!)

DEM.

Ah! se insensibil meno

Fossi per me; s’io nel tuo petto avessi

Destar saputo una scintilla, a tante

Preghiere mie...

BEREN.

(tenera)

Dunque tu credi... Ah! prence...

 

(Stelle! io mi perdo).

DEM.

Almen finisci.

BEREN.

Oh dèi!

Va: farò ciò che brami.

DEM.

E quel sospiro

Che volle dir?

BEREN.

(amorosa)

Nol so: so ch’io non posso

 

Voler che il tuo volere.

DEM.

(con trasporto)

Ah! nel tuo volto

 

Veggo un lampo d’amor, bella mia face.

BEREN.

Crudel, che vuoi da me? Lasciami in pace.

 

Basta così; ti cedo:

Qual mi vorrai, son io;

Ma, per pietà lo chiedo,

Non dimandar perché.

Tanto sul voler mio

Chi ti donò d’impero

Non osa il mio pensiero

men cercar fra sé. (parte)

 

 

 




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