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Pietro Metastasio
Antigono

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SCENA NONA

 

Spaziose logge reali, donde si scoprono la vasta campagna ed il porto di Tessalonica: quella ricoperta da’ confusi avanzi d’un campo distrutto, e questo dai resti ancor fumanti delle incendiate navi d’Epiro.

 

Antigono e Demetrio

ANT.

Dunque nascesti, ingrato,

Per mia sventura? il più crudel nemico

Dunque ho nutrito in te? Bella mercede

Di tante mie paterne cure e tanti

Palpiti che mi costi! Io non pensai

Che di me stesso a render te maggiore:

Non pensi tu che a lacerarmi il core.

DEM.

Ma credei...

ANT.

Che credesti? Ad Alessandro

Con quale autorità gli affetti altrui

Ardisti offrir? Chi t’insegnò la fede

A sedur d’una sposa,

E a favor del nemico?

DEM.

Il tuo periglio...

ANT.

Io de’ perigli miei

Voglio solo il pensiero. A te non lice

Di giudicar qual sia

Il mio rischio maggior.

DEM.

Se di te stesso,

Signor, cura non prendi, abbila almeno

Di tanti tuoi fidi vassalli: un padre

Lor conserva ed un re. Se tanto bene

Non vuol congiunto il Ciel, renda felice

L’Epiro Berenice,

Tu Macedonia. È gran compenso a questa

Del ben, che perderà, quel che le resta.

ANT.

Generoso consiglio,

Degno del tuo gran cor! (vuol partire)

DEM.

(seguitandolo)

Degno d’un figlio,

 

Che forse...

ANT.

I passi miei

Guardati di seguir.

 

 

 




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