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Pietro Metastasio
Artaserse

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SCENA SECONDA

 

Artabano, poi Arbace con alcune guardie.

 

ARTAB.

Son quasi in porto. Arbace,

Avvicinati: e voi (alle guardie)

Nelle prossime stanze

Pronti attendete ogni mio cenno. (partono)

ARB.

(Il padre

Solo con me!)

ARTAB.

Pur mi riesce, o figlio,

Di salvar la tua vita. Io chiesi ad arte

All’incauto Artaserse

La libertà di favellarti. Andiamo:

Per una via che ignota

Sempre gli fu, scorgendo i passi tui,

Deluder posso i suoi custodi e lui.

ARB.

Mi proponi una fuga,

Che saria prova al mio delitto?

ARTAB.

Eh vieni,

Folle che sei. La libertà ti rendo;

T’involo al regio sdegno,

Agli applausi ti guido e forse al regno.

ARB.

Che dici? Al regno!

ARTAB.

È da gran tempo, il sai,

A tutti in odio il regio sangue. Andiamo:

Alle commosse squadre

Basta mostrarti. Ho già la fede in pegno

De’ primi duci.

ARB.

Io divenir ribelle?

Solo in pensarlo inorridisco. Ah, padre,

Lasciami l’innocenza!

ARTAB.

È già perduta

Nella credenza altrui. Sei prigioniero,

E comparisci reo.

ARB.

Ma non è vero.

ARTAB.

Questo non giova. È l’innocenza, Arbace,

Un pregio, che consiste

Nel credulo consenso

Di chi l’ammira; e, se le togli questo,

In nulla si risolve. Il giusto è solo

Chi sa fingerlo meglio, e chi nasconde

Con più destro artificio i sensi sui

Nel teatro del mondo agli occhi altrui.

ARB.

T’inganni. Un’alma grande

È teatro a se stessa. Ella in segreto

S’approva e si condanna,

E placida e sicura

Del volgo spettator l’aura non cura.

ARTAB.

Sia ver: ma l’innocenza

Si dovrà preferir forse alla vita?

ARB.

E questa vita, o padre,

Che mai la credi?

ARTAB.

Il maggior dono, o figlio,

Che far possan gli dèi.

ARB.

La vita è un bene,

Che, usandone, si scema: ogni momento

Ch’altri ne gode, è un passo

Che al termine avvicina e dalle fasce

Si comincia a morir quando si nasce

ARTAB.

E dovrò per salvarti

Contender teco? Altra ragion per ora

Non ricercar che il cenno mio. T’affretta!

ARB.

No, perdona: sia questo

Il tuo cenno primiero

Trasgredito da me.

ARTAB.

Vinca la forza

Le resistenze tue. Sieguimi! (va a prenderlo)

ARB.

(si scosta)

In pace

Lasciami, o padre. A troppo gran cimento

Riduci il mio rispetto. Ah, se mi sforzi,

Farò...

ARTAB.

Minacci, ingrato?

Parla, di’: che farai?

ARB.

Nol so; ma tutto

Farò per non seguirti.

ARTAB.

E ben, vediamo

Chi di noi vincerà. Sieguimi, andiamo! (lo prende per mano)

ARB.

Custodi, olà.

ARTAB.

T’accheta.

ARB.

Olà, custodi,

Rendetemi i miei lacci. Al carcer mio

Guidatemi di nuovo. (Artabano lascia Arbace, vedendo i custodi)

ARTAB.

(Ardo di sdegno).

ARB.

Padre, un addio.

ARTAB.

Va, non t’ascolto, indegno!

 

ARB.

Mi scacci sdegnato,

Mi sgridi severo:

Pietoso, placato

Vederti non spero,

Se in questi momenti

Non senti pietà.

Che ingiusto rigore!

Che fiero consiglio!

Scordarsi l’amore

D’un misero figlio,

D’un figlio infelice

Che colpa non ha.

(parte con le guardie)

 

 

 

 




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