Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Pietro Metastasio
Attilio Regolo

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Scena settima - Manlio, Publio, Amilcare, Regolo

 

MAN. Venga Regolo, e venga

l'africano orator. Dunque i nemici

braman la pace?

PUBLIO          O de' cattivi almeno

vogliono il cambio. A Regolo han commesso

d'ottenerlo da voi. Se nulla ottiene,

a pagar col suo sangue

il rifiuto di Roma egli a Cartago

è costretto a tornar. Giurollo, e vide

pria di partir del minacciato scempio

i funesti apparecchi. Ah! non sia vero

che a sì barbare pene

un tanto cittadin...        

MAN. T'accheta: ei viene.

AMIL. (Regolo, a che t'arresti? È forse nuovo

per te questo soggiorno?)

REG. (Penso qual ne partii, qual vi ritorno).

AMIL. Di Cartago il Senato,

bramoso di depor l'armi temute,

al Senato di Roma invia salute.

E, se Roma desia

anche pace da lui, pace gl'invia.

MAN. Siedi ed esponi. E tu l'antica sede,

Regolo, vieni ad occupar.

REG.   Ma questi

chi sono?        

MAN. I padri.

REG.   E tu chi sei?

MAN. Conosci

il console sì poco?

REG. E fra il console e i padri un servo ha loco?

MAN. No; ma Roma si scorda

il rigor di sue leggi

per te, cui dee cento conquiste e cento.

REG. Se Roma se ne scorda, io gliel rammento.

MAN. (Più rigida virtù chi vide mai?)

PUBLIOPublio sederà.

REG.   Publio, che fai?

PUBLIO Compisco il mio dover: sorger degg'io

dove il padre non siede.

REG.   Ah tanto in Roma

son cambiati i costumi! Il rammentarsi

fra le pubbliche cure

d'un privato dover, pria che tragitto

in Africa io facessi, era delitto.

PUBLIO Ma...

REG. Siedi, Publio; e ad occupar quel loco

più degnamente attendi.

PUBLIO Il mio rispetto

innanzi al padre è naturale istinto.

REG. Il tuo padre morì, quando fu vinto.

MAN. Parla, Amilcare, ormai.

AMIL.             Cartago elesse

Regolo a farvi noto il suo desio.

Ciò ch'ei dirà, dice Cartago ed io.

MAN. Dunque Regolo parli.

AMIL.             Or ti rammenta

che, se nulla otterrai,

giurasti...         

REG.   Io compirò quanto giurai.

MAN. (Di lui si tratta: oh come

parlar saprà!)

PUBLIO          (Numi di Roma, ah voi

inspirate eloquenza a' labbri suoi!)

REG. La nemica Cartago,

a patto che sia suo quant'or possiede,

pace, o padri coscritti, a voi richiede.

Se pace non si vuol, brama che almeno

de' vostri e suoi prigioni

termini un cambio il doloroso esiglio.

Ricusar l'una e l'altro è il mio consiglio.

AMIL. (Come!)          

PUBLIO          (Aimè!)

MAN. (Son di sasso).

REG.   Io della pace

i danni a dimostrar non m'affatico;

se tanto la desia, teme il nemico.

MAN. Ma il cambio?

REG.   Il cambio asconde

frode per voi più perigliosa assai.

AMIL. Regolo?

REG. Io compirò quanto giurai.

PUBLIO (Numi! il padre si perde).

REG.   Il cambio offerto

mille danni ravvolge;

ma l'esempio è il peggior. L'onor di Roma,

il valor, la costanza,

la virtù militar, padri, è finita,

se ha speme il vil di libertà, di vita.

Qual prò che torni a Roma

chi a Roma porterà l'orme sul tergo

della sferza servil? chi l'armi ancora

di sangue ostil digiune

vivo depose, e per timor di morte

del vincitor lo scherno

soffrir si elesse? Oh vituperio eterno!

MAN. Sia pur dannoso il cambio:

a compensarne i danni

basta Regolo sol.        

REG. Manlio, t'inganni:

Regolo è pur mortal.Sento ancor io

l'ingiurie dell'etade. Utile a Roma

già poco esser potrei: molto a Cartago

ben lo saria la gioventù feroce,

che per me rendereste. Ah sì gran fallo

da voi non si commetta. Ebbe il migliore

de' miei giorni la patria, abbia il nemico

l'inutil resto. Il vil trionfo ottenga

di vedermi spirar; ma vegga insieme

che ne trionfa in vano,

che di Regoli abbonda il suol romano.

MAN. (Oh inudita costanza!)

PUBLIO (Oh coraggio funesto!)

AMIL. (Che nuovo a me strano linguaggio è questo!)

MAN. L'util non già dell'opre nostre oggetto,

ma l'onesto esser dee; né onesto a Roma

l'esser ingrata a un cittadin saria.

REG. Vuol Roma essermi grata? Ecco la via.

Questi barbari, o padri,

m'han credutovil, che per timore

io venissi a tradirvi. Ah questo oltraggio

d'ogni strazio sofferto è più inumano.

Vendicatemi, o padri; io fui romano.

Armatevi, correte

a sveller da' lor tempii

l'aquile prigioniere. In sin che oppressa

l'emula sia non deponete il brando.

Fate ch'io tornando

legga il terror dell'ire vostre in fronte

a' carnefici miei; che lieto io mora

nell'osservar fra' miei respiri estremi

come al nome di Roma Africa tremi.

AMIL. (La maraviglia agghiaccia

gli sdegni miei).

PUBLIO          (Nessun risponde? Oh Dio!

mi trema il cor).

MAN. Domanda

più maturo consiglio

dubbiogrande. A respirar dal nostro

giusto stupor spazio bisogna. In breve

il voler del Senato

tu, Amilcare, saprai. Noi, padri, andiamo

l'assistenza de' numi

pria di tutto a implorar.

REG.   V'è dubbio ancora?

MAN. Sì, Regolo: io non veggo

se periglio maggiore

è il non piegar del tuo consiglio al peso,

o se maggior periglio

è il perder chi sa dar sì gran consiglio.

Tu, sprezzator di morte,

dai per la patria il sangue;

ma il figlio suo più forte

perde la patria in te.

Se te domandi esangue,

molto da lei domandi:

d'anime così grandi

prodigo il Ciel non è.

 

 




Precedente - Successivo

Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License