- ATTO SECONDO
- Scena quarta - Attilia, Regolo, Licinio
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ATT. Amato padre,
pure una volta...
REG. E ardisci
ancor venirmi innanzi? Ah non contai
te fin ad or fra' miei nemici.
ATT. Io, padre,
io tua nemica!
REG. E tal non è chi folle
s'oppone a' miei consigli?
ATT. Ah di giovarti
dunque il desio d'inimicizia è
prova?
REG. Che sai tu quel che nuoce o
quel che giova?
Delle pubbliche cure
chi a parte ti chiamò? Della mia
sorte
chi ti fé protettrice? Onde...
LIC. Ah signore,
troppo...
REG. Parla Licinio! Assai tacendo
meglio si difendea; pareva almeno
pentimento il silenzio. Eterni
dei!
Una figlia!... un roman!
ATT. Perché son figlia...
LIC. Perché roman son io, credei
che oppormi
al tuo fato inumano...
REG. Taci: non è romano
chi una viltà consiglia.
Taci: non è mia figlia
chi più virtù non ha.
Or sì de' lacci il peso
per vostra colpa io sento;
or sì la mia rammento
perduta libertà.
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