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Pietro Metastasio
Attilio Regolo

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Scena quinta - Attilia, Licinia

 

ATT. Ma ; credi, o Licinio,

che mai di me nascesse

più sfortunata donna? Amare un padre,

affannarsi a suo prò, mostrar per lui

di tenera pietade il cor trafitto

saria merito ad altri; è a me delitto.

LIC. No; consolati, Attilia, e non pentirti

dell'opera pietosa. Altro richiede

il dover nostro, ed altro

di Regolo il dover. Se gloria è a lui

della vita il disprezzo, a noi sarebbe

empietà non salvarlo. Al fin vedrai

che grato ei ci sarà. Non ti spaventi

lo sdegno suo. Spesso l'infermo accusa

di crudel, d'inumano

quella medica man, che lo risana.

ATT. Que' rimproveri acerbi

mi trafiggono il cor: non ho costanza

per soffrir l'ire sue.      

LIC.     Ma : vorresti

pria d'un tal genitor vederti priva?

ATT. Ah questo no: mi sia sdegnato, e viva.

LIC. Vivrà. Cessi quel pianto:

tornatevi di nuovo,

begli occhi, a serenar. Se veggo, oh Dio!

mestizia in voi, perdo coraggio anch'io.

Da voi, cari lumi,

dipende il mio stato;

voi siete i miei numi,

voi siete il mio fato:

a vostro talento

mi sento cangiar.

Ardir m'inspirate,

se lieti splendete;

se torbidi siete,

mi fate tremar.

 

 




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