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Pietro Metastasio Catone in Utica IntraText CT - Lettura del testo |
CES. |
Pur ti riveggo, o Marzia. Agli occhi miei Che, per costume a figurarti avvezzo, Mi lusinghi il pensiero. Oh, quante volte, Fra l’armi e le vicende, in cui m’avvolse L’incostante fortuna, a te pensai! E tu spargesti mai Un sospiro per me? Rammenti ancora La nostra fiamma? Al par di tua bellezza Crebbe il tuo amore o pur scemò? Qual parte Hanno gli affetti miei |
E tu chi sei? |
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CES. |
Chi sono! E qual richiesta! È scherzo? È sogno? Così tu di pensiero, O così di sembianza io mi cangiai? Non mi ravvisi? |
Io non ti vidi mai. |
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CES. |
Quello che tanto amasti, Quello a cui tu giurasti, Per volger d’anni o per destin rubello, Di non essergli infida? |
E tu sei quello? No, tu quello non sei; ne usurpi il nome. Un Cesare adorai, nol niego; ed era L’onor del Campidoglio, Del mondo intier dolce speranza e mia: Questo Cesare amai, questo mi piacque, |
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CES. |
Sempre l’istesso io sono; e, se al tuo sguardo Più non sembro l’istesso, o pria l’amore, O t’inganna or lo sdegno. All’armi, all’ire Più che la scelta mia, l’invidia altrui. Combattei per difesa. A te dovevo Conservar questa vita; e, se pugnando |
Molto ti deggio in ver. Se ingiusta offesi Il tuo cor generoso, a me perdona. Sempre credei che si facesse guerra Solamente a’ nemici, e non spiegai Come pegni amorosi i tuoi furori; D’un grand’eroe, che viva innamorato, |
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CES. |
Che far di più dovrei? Supplice io stesso Quando potrei... Tu sai… |
Però la chiedi. |
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CES. |
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Eh di’ che il solo Impaccio al tuo disegno è il padre mio: |
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CES. |
Un sincero parlar. Quanto me stesso Io t’amo, è ver; ma la beltà del volto Non fu che mi legò: Catone adoro Nel sen di Marzia; il tuo bel core ammiro Come parte del suo: qua più mi trasse L’amicizia per lui che il nostro amore: E se (lascia ch’io possa Dirti ancor più) se m’imponesse un nume Di perdere un di voi, morir d’affanno Nella scelta potrei; |
Ecco il Cesare mio. Comincio adesso A ravvisarlo in te. Così mi piaci, Così m’innamorasti. Ama Catone: |
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CES. |
Quest’è troppa vittoria. Ah, mal da tanta Generosa virtude io mi difendo. Al tuo riposo; e, pria che cada il giorno, Che son Cesare ancora e che t’amai.
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