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Pietro Metastasio
Catone in Utica

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SCENA DODICESIMA

 

Catone e Marzia, indi Emilia

 

MAR.

Ah signor, che facesti? Ecco in periglio

La tua, la nostra vita.

CAT.

Il viver mio

Non sia tua cura. A te pensai: di padre

Sento gli affetti. (vedendo venire Emilia) Emilia,

Non v’è più pace, e fra l’ardor dell’armi

Mal sicure voi siete; onde alle navi

Portate il piè. Sai che il german di Marzia

Di quelle è duce; e in ogni evento avrete

Pronto lo scampo almen.

EMI.

Qual via sicura

D’uscir da queste mura

Cinte d’assedio?

CAT.

In solitaria parte,

D’Iside al fonte appresso,

A me noto è l’ingresso

Di sotterranea via. Ne cela il varco

De’ folti dumi e de’ pendenti rami

L’invecchiata licenza. All’acque un tempo

Servì di strada; or, dall’età cangiata,

Offre asciutto il cammino

Dall’offesa cittade al mar vicino.

EMI.

(Può giovarmi il saperlo).

MAR.

Ed a chi fidi

La speme, o padre? È mal sicura, il sai,

La di Arbace: a ricusarmi ei giunse.

CAT.

Ma nel cimento estremo

Ricusarti non può. Di tanto eccesso

È incapace, il vedrai.

MAR.

Farà l’istesso.

 

 

 




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