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Pietro Metastasio
Demetrio

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SCENA TERZA

 

Olinto e Mitrane

 

 

OLI.

La caduta d’Alceste al fin, Mitrane,

M’assicura lo scettro. Io con la speme

Ne prevengo il piacer.

MITR.

Fidarsi tanto

Non deve il saggio alle speranze. Un bene

Con sicurezza atteso, ove non giunga,

Come perdita affligge. E poi t’inganni,

Se divenir felice

Speri così. Felicità sarebbe

Il regno in ver, se i contumaci affetti

Rispettassero il trono: onde, cingendo

La clamide real, più non restasse

Altro a bramar. Ma da un desire estinto

Germoglia un altro; e nel cambiare oggetto

Non scema di vigor. Se pace adesso

Solo in te stesso ritrovar non sai,

Ancor nel regio stato

Infelice sarai, come privato.

OLI.

Felicità non credi

Del comando il piacer?

MITR.

L’uso d’un bene

Ne scema il senso. Ogni piacer sperato

È maggior che ottenuto. Or non comprendi

Di qual peso è il diadema, e quanto studio

Costi l’arte del regno.

OLI.

Il regno istesso

A regnare ammaestra.

MITR.

È ver; ma sempre

S’impara errando, ed ogni lieve errore

Si fa grande in un re.

OLI.

Tanta dottrina

Non intendo, Mitrane. Il brando e l’asta

Solo appresi a trattar. Gli affetti umani

Investigar non è per me. Bisogna

Per massimegrandi

Età più ferma, e frequentar conviene

D’Egitto i tempii, o i portici d’Atene.

MITR.

Ma d’Atene e d’Egitto

Il saper non bisogna

Per serbarsi fedel. Tu fino ad ora

Non amasti Barsene?

OLI.

E l’amo ancora.

MITR.

E puoi, Barsene amando,

Compiacerti d’un trono,

Per cui la perdi?

OLI.

E comparar tu puoi

La perdita d’un core

Coll’acquisto d’un regno?

MITR.

A queste prove

Chi è fedel si distingue.

OLI.

Eh! che in amore

Fedeltà non si trova. In ogni loco

Si vanta assai, ma si conserva poco.

 

È la fede degli amanti

Come l’araba fenice:

Che vi sia, ciascun lo dice;

Dove sia, nessun lo sa.

Se tu sai dov’ha ricetto,

Dove muore e torna in vita,

Me l’addìta, e ti prometto

Di serbar la fedeltà. (parte)

 

 

 




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