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Pietro Metastasio
Demofoonte

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ATTO PRIMO

 

 

 

SCENA PRIMA

 

Orti pensili, corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte.

 

Dircea e Matusio

 

DIR.

Credimi, o padre: il tuo soverchio affetto

Un mal dubbioso ancora

Rende sicuro. A domandar che solo

Il mio nome non vegga

L’urna fatale, altra ragion non hai

Che il regio esempio.

MAT.

E ti par poco? Io forse,

Perché suddito nacqui,

Son men padre del re? D’Apollo il cenno

D’una vergine illustre

Vuol che su l’are sue si sparga il sangue

Ogni anno in questo ; ma non esclude

Le vergini reali. Ei, che si mostra

Delle leggi divine

rigido custode, agli altri insegni

Con l’esempio costanza. A sé richiami

Le allontanate ad arte

Sue regie figlie. I nomi loro esponga

Anch’egli al caso. All’agitar dell’urna,

Provi egli ancor d’un infelice padre

Come palpita il cor; come si trema

Quando al temuto vaso

La mano accosta il sacerdote, e quando

In sembianza funesta

L’estratto nome a pronunciar s’appresta;

E arrossisca una volta

Ch’abbia a toccar sempre la parte a lui

Di spettator nelle miserie altrui.

DIR.

Ma sai pur che a’ sovrani

È suddita la legge.

MAT.

Le umane sì, non le divine.

DIR.

E queste

A lor s’aspetta interpretar.

MAT.

Non quando

Parlan chiaro gli dèi.

DIR.

Mai chiari a segno...

MAT.

Non più, Dircea; son risoluto.

DIR.

Ah! meglio

Pensaci, o genitor. L’ira ne’ grandi

Sollecita s’accende,

Tarda s’estingue. È temeraria impresa

L’irritare uno sdegno

Che ha congiunto il poter. Già il re pur troppo

Bieco ti guarda. Ah! che sarà, se aggiunge

Ire novelle all’odio antico?

MAT.

In vano

L’odio di lui tu mi rammenti e l’ira:

La ragion mi difende, il Ciel m’inspira.

 

O più tremar non voglio

Fra tanti affanni e tanti;

O ancor chi preme il soglio

Ha da tremar con me.

Ambo siam padri amanti,

Ed il paterno affetto

Parla egualmente in petto

Del suddito e del re. (parte)

 

 

 




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