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Pietro Metastasio
Demofoonte

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SCENA DODICESIMA

 

Adrasto con guardie, e detti.

 

ADR.

Olà! ministri,

Custodite Dircea. (le guardie la circondano)

MAT.

Nol dissi, o prence?

TIM.

Come?

DIR.

Misera me!

TIM.

Per qual cagione

È Dircea prigioniera?

ADR.

Il re l’impone.

(a Dircea) Vieni!

DIR.

Ah! dove?

ADR.

Fra poco,

Sventurata! il saprai.

DIR.

Principe, padre,

Soccorretemi voi;

Movetevi a pietà.

TIM.

No, non fia vero... (in atto d’assalire)

MAT.

Non soffrirò...

ADR.

Se v’appressate, in seno

Questo ferro le immergo. (impugnando uno stile)

TIM.

              }

Empio!

(si fermano)

MAT.

Inumano!

ADR.

Il comando sovrano

Mi giustifica assai.

DIR.

Dunque...

ADR.

T’affretta:

Sono vane, o Dircea, le tue querele.

DIR.

Vengo. (incamminandosi)

TIM. e MAT.

Ah! barbaro! (in atto di assalire)

ADR.

Olà! (in atto di ferire)

TIM. e MAT.

(arrestandosi)              

Ferma, crudele!

DIR.

Padre, perdona... Oh pene!

Prence, rammenta... Oh Dio!

(Già che morir degg’io,

Potessi almen parlar!)

Misera! in che peccai?

Come son giunta mai

De’ numi a questo segno

Lo sdegno a meritar? (parte con Adrasto)

 

 

 




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