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Pietro Metastasio
Demofoonte

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ATTO SECONDO

 

 

 

SCENA PRIMA

 

Gabinetti.

 

Demofoonte e Creusa

 

DEM.

Chiedi pure, o Creusa. In questo giorno

Tutto farò per te; ma non parlarmi

A favor di Dircea. Voglio che il padre

Morir la vegga. Il temerario offese

Troppo il real decoro. In faccia mia

Sediziose voci

Sparger nel volgo! A’ miei decreti opporsi!

Paragonarsi a me! Regnar non voglio,

Se tal vergogna ho da soffrir nel soglio.

CRE.

Io non vengo per altri

A pregarti, signor. Conosco assai

Quel che potrei sperar. Le mie preghiere

Son per me stessa.

DEM.

E che vorresti?

CRE.

In Frigia

Subito ritornar. Manca il tuo cenno

Perché possan dal porto

Le navi uscir. Questo io domando; e credo

Che negarlo non puoi, se pur qui, dove

Venni a parte del trono,

(Non è strano il timor) schiava io non sono.

DEM.

Che dici, o principessa! Ah, quai sospetti!

Che pungente parlar! Partir da noi!

E lo sposo? E le nozze?

CRE.

Eh! per Timante

Creusa è poco. Una beltà mortale

Non lo speri ottener. Per lui... Ma questa

La mia cura non è. Partir vogl’io:

Posso, o signor?

DEM.

Tu sei

L’arbitra di te stessa. In Tracia a forza

Ritenerti io non vuo’. Ma non sperai

Tale ingiuria da te.

CRE.

Non so di noi

Chi ha ragion di lagnarsi: e il prence... Al fine

Bramo partir.

DEM.

Ma lo vedesti?

CRE.

Il vidi.

DEM.

Ti parlò?

CRE.

Così meco

Parlato non avesse!

DEM.

E che ti disse?

CRE.

Signor, basta così.

DEM.

Creusa, intendo.

Ruvido troppo, alle parole, agli atti,

Ti parve il prence. Ei freddamente forse

T’accolse, ti parlò. Scuso il tuo sdegno:

A te, che sei di Frigia

A’ molli avvezza e teneri costumi,

Aspra rassembra e dura

L’aria d’un Trace. E, se Timante è tale,

Meraviglia non è: nacque fra l’armi,

Fra l’armi s’educò. Teneri affetti

Per lui son nomi ignoti. A te si serba

La gloria d’erudirlo

Ne’ misteri d’Amor. Poco, o Creusa,

Ti costerà. Che non insegna un volto

pien di grazie, e due vivaci lumi,

Che parlan come i tuoi? S’apprende in breve

Sotto la disciplina

Di sì dotti maestri ogni dottrina.

CRE.

Al rossor d’un rifiuto una mia pari

Non s’espone però.

DEM.

Rifiuto! E come

Lo potresti temer?

CRE.

Chi sa?

DEM.

La mano,

Pur che tu non la sdegni, in questo giorno

Il figlio a te darà: la mia ne impegno

Fede reale. E se l’audace ardisse

Di repugnar, da mille furie invaso,

Saprei... Ma no! troppo è lontano il caso.

CRE.

(Sì, sì! Timante all’imeneo s’astringa,

Per poter rifiutarlo). E bene, accetto,

Signor, la tua promessa. Or fia tua cura

Che poi...

DEM.

Basta così. Vivi sicura.

 

CRE.

Tu sai chi son; tu sai

Quel che al mio onor conviene:

Pensaci; e, s’altro avviene,

Non ti lagnar di me.

Tu re, tu padre sei,

Ed obbliar non déi

Come comanda un padre,

Come punisce un re. (parte)

 

 

 




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