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Pietro Metastasio Didone abbandonata IntraText CT - Lettura del testo |
Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze, con trono da un lato. Veduta in prospetto della città di Cartagine, che sta edificandosi.
ENEA. No, principessa, amico,
sdegno non è, non è timor che move
le frigie vele e mi trasporta altrove.
pur troppo il so; né di sua fé pavento.
quanto fece per me: non sono ingrato.
all'arbitrio dell'onde i giorni miei
mi prescrive il destin, voglion gli dei;
e son sì sventurato,
che sembra colpa mia quella del fato.
SELENE Se cerchi al lungo error riposo e nido,
la germana, il tuo merto e il nostro zelo.
ENEA Riposo ancor non mi concede il Cielo.
SEL. Perché?
il lor voler ti palesaro i numi?
non porta il sonno mai suo dolce obblio,
del genitor non mi dipinga innante.
«Figlio» ei dice, e l'ascolto «ingrato figlio,
che acquistar ti commise Apollo ed io?
che in un altro terreno,
opra del tuo valor, Troia rinasca:
tu il promettesti; io nel momento estremo
del viver mio la tua promessa intesi,
allor che ti piegasti
a baciar questa destra e mel giurasti.
E tu frattanto ingrato
alla patria, a te stesso, al genitore,
qui nell'ozio ti perdi e nell'amore?
tronca il canape reo, sciogli le sarte».
Mi guarda poi con torvo ciglio, e parte.
Se parte Enea, manca un rivale al trono).
SEL. Se abbandoni il tuo bene,
morrà Didone (e non vivrà Selene).
SEL. (Non posso
ENEA (Difenditi, mio core, ecco il cimento).