- ATTO SECONDO
- Scena tredicesima - Didone, Iarba
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DID. Senti.
IARBA Lascia che parta.
DID. I suoi trasporti
a me giova calmar.
IARBA Di che paventi?
Dammi la destra, e mia
di vendicarti poi la cura sia.
DID. D'imenei non è tempo.
IARBA Perché?
DID. Più non cercar.
IARBA Saperlo io bramo.
DID. Giacché vuoi, tel dirò:
perché non t'amo:
perché mai non piacesti agli
occhi miei;
perché odioso mi sei; perché mi
piace,
più che Iarba fedele, Enea
fallace.
IARBA Dunque, perfida, io sono
un oggetto di riso agli occhi
tuoi!
Ma sai chi Iarba sia?
Sai con chi ti cimenti?
DID. So che un barbaro sei, né mi
spaventi.
IARBA Chiamami pur così.
Forse pentita un dì
pietà mi chiederai,
ma non l'avrai da me.
Quel barbaro, che sprezzi,
non placheranno i vezzi:
né soffrirà l'inganno
quel barbaro da te.
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