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Pietro Metastasio
Ezio

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SCENA TREDICESIMA

 

Ezio disarmato e detti.

 

EZIO

(nell’uscire, vedendo Fulvia, si ferma)

(Stelle, che miro! In Fulvia

Come tanta incostanza!)

FUL.

(Resisti, anima mia).

VAL.

Duce, t’avanza.

EZIO

Il giudice qual è? Pende il mio fato

Da Cesare o da Fulvia?

VAL.

E Fulvia ed io

Siamo un giudice solo. Ella è sovrana,

Or che in lacci di sposo a lei mi stringo.

EZIO

(Donna infedel!)

FUL.

(Potessi dir che fingo!)

VAL.

Ezio, m’ascolta, e a moderare impara,

Per poco almeno, il naturale orgoglio,

Che giovarti non può. Qui si cospira

Contro di me. Del tradimento autore

Ti crede ognun. Di fellonia t’accusa

Il rifiuto d’Onoria, il troppo fasto

Delle vittorie tue, l’aperto scampo

Ad Attila permesso, il tuo geloso

E temerario amor, le tue minacce,

Di cui tu sai che testimonio io sono.

Pensa a scolparti o a meritar perdono.

MASS.

(Sorte non mi tradir!)

EZIO

Cesare, in vero

Ingegnoso è il pretesto. Ove s’asconde

Costui che t’assalì? Chi dell’insidia

Autor mi afferma? Accusator tu sei

Del figurato eccesso,

Giudice e testimonio a un tempo istesso.

FUL.

(Oh Dio! si perde).

VAL.

(E soffrirò l’altero?)

EZIO

Ma il delitto sia vero:

Perché si appone a me? Perché d’Onoria

La destra ricusai? Dunque ad Augusto

Serbai la libertà col mio sudore,

Perché a me la togliesse anche in amore?

È d’Attila la fuga

Che mi convince reo? Dunque io dovea

Attila imprigionar, perché d’Europa

Tutte le forze e l’armi,

Senza il timor, che le congiunge a noi,

Si volgessero poi contro l’impero?

Cerca per queste imprese altro guerriero.

Son reo, perché conosco

Qual io mi sia, perché di me ragiono.

L’alme vili a se stesse ignote sono.

FUL.

(Partir potessi).

VAL.

Un nuovo fallo è questa

Temeraria difesa. Altro t’avanza

Per tua discolpa ancor?

EZIO

Dissi abbastanza.

Cesare, non curarti

Tutto il resto ascoltar, ch’io dir potrei.

VAL.

Che diresti?

EZIO

Direi

Che produce un tiranno

Chi solleva un ingrato. Anche ai sovrani

Direi che desta invidia

De’ sudditi il valor; che a te dispiace

D’essermi debitor, che tu paventi

In me que’ tradimenti

Che sai di meritar, quando mi privi

D’un cor...

VAL.

Superbo, a questo eccesso arrivi?

FUL.

(Aimè!)

VAL.

Punir saprò...

FUL.

Soffri, se m’ami,

Che Fulvia parta. I vostri sdegni irrìta

L’aspetto mio. (s’alza)

VAL.

No, non partir. Tu scorgi

Che mi sdegno a ragion. Siedi, e vedrai

Come un reo pertinace

A convincer m’accingo.

EZIO

(Donna infedel!)

FUL.

(torna a sedere)

(Potessi dir che fingo!)

MASS.

(Tutto fin or mi giova).

VAL.

Ezio, tu sei

D’ogni colpa innocente. Invido Augusto

Di cotesta tua gloria, il tutto ha finto.

Solo un giudicio io chiedo

Dall’eccelsa tua mente. Al suo sovrano

Contrastando la sposa,

Il suddito è ribelle?

EZIO

E al suo vassallo,

Che il prevenne in amor, quando la tolga,

Il sovrano è tiranno?

VAL.

A quel che dici,

Dunque Fulvia t’amò?

FUL.

(Che pena!)

VAL.

A lui

Togli, o cara, un inganno, e di’ s’io fui

Il tuo foco primiero,

Se l’ultimo sarò: spiegalo.

FUL.

(a Valentiniano)

È vero.

EZIO

Ah perfida, ah spergiura! A questo colpo

Manca la mia costanza.

VAL.

Vedi se t’ingannò la tua speranza. (ad Ezio)

EZIO

Non trionfar di me. Troppo ti fidi

D’una donna incostante. A lei la cura

Lascio di vendicarmi. Io mi lusingo

Che ‘l proverai.

FUL.

(Né posso dir che fingo!)

MASS.

(E Fulvia non si perde!)

EZIO

In questo stato

Non conosco me stesso. In faccia a lei

Mi si divide il cor. Pena maggiore,

Massimo, da che nacqui, io non provai

FUL.

(Io mi sento morir). (s’alza piangendo e vuol partire)

VAL.

Fulvia, che fai?

FUL.

Voglio partir, ché a tanti ingiusti oltraggi

Più non resisto.

VAL.

Anzi t’arresta, e siegui

A punirlo così.

FUL.

No, te ne priego:

Lascia ch’io vada.

VAL.

Io nol consento. Afferma

Per mio piacer di nuovo

Che sospiri per me, ch’io ti son caro,

Che godi alle sue pene...

FUL.

Ma se vero non è; s’egli è il mio bene!

VAL.

Che dici?

MASS.

(Aimè!)

EZIO

Respiro.

FUL.

E sino a quando

Dissimular dovrò? Finsi fin ora,

Cesare, per placarti; Ezio innocente

Salvar credei. Per lui mi struggo; e sappi

Ch’io non t’amo davvero, e non t’amai.

E se i miei labbri mai

Ch’io t’amo a te diranno,

Non mi credere, Augusto; allor t’inganno.

EZIO

Oh cari accenti!

VAL.

Ove son io! Che ascolto!

Qual ardir, qual baldanza!

EZIO

Vedi se t’ingannò la tua speranza. (a Valentiniano)

VAL.

Ah temerario! ah ingrata! Olà, custodi,

Toglietemi d’avanti

Quel traditor. Nel carcere più orrendo

Serbatelo al mio sdegno.

EZIO

Il tuo furor del mio trionfo è segno.

Chi più di me felice? Io cederei

Per questa ogni vittoria.

Non t’invidio l’impero,

Non ho cura del resto:

È trionfo leggiero

Attila vinto, a paragon di questo.

 

Ecco alle mie catene,

Ecco a morir m’invio:

Sì, ma quel core è mio; (a Valentiniano, accennando Fulvia)

Sì, ma tu cedi a me.

Caro mio bene, addio.

Perdona a chi t’adora:

So che t’offesi, allora

Ch’io dubitai di te.

(parte con le guardie)

 

 

 




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