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Pietro Metastasio
Ipermestra

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SCENA TERZA

 

Ipermestra, poi Plistene

 

IPER.

Nuova angustia per me. Come poss’io

Evitar che lo sposo...

PLIST.

Ah! principessa,

Pietà del tuo Linceo. Confuso, oppresso,

Come or lo veggo, io non l’ho mai veduto.

Se tarda il tuo soccorso, egli è perduto.

IPER.

Ma che dice, o Plistene?

Che fa? che pensa? il mio ritegno accusa?

M’odia? m’ama? mi crede

Sventurata o infedel?

PLIST.

Tanto io non posso

Dirti, Ipermestra. Or più Linceo, qual era,

Meco non è. Par che diffidi, e pare

Che si turbi in vedermi: il suo dolore

Forse sol n’è cagion. Deh! lo consola

Or che a te vien.

IPER.

(con timore)

Dov’è?

PLIST.

Nelle tue stanze

Ti cerca in van; ma lo vedrai fra poco

Qui comparir.

IPER.

(Misera me!) Plistene,

Soccorrimi, ti prego; abbi pietade

Dell’amico e di me. Fa ch’ei non venga

Dove son io; mi fido a te.

PLIST.

Ma come

Posso impedir?...

IPER.

Di conservar si tratta

La vita sua. Più non cercar; né questo,

Ch’io fido a te, sappia Linceo.

PLIST.

Ma l’ami?

IPER.

Più di me stessa.

PLIST.

Io nulla intendo. E puoi

Lasciarlo a tanti affanni in abbandono?

IPER.

Ah, tu non sai quanto infelice io sono!

 

Se il mio duol, se i mali miei,

Se dicessi il mio periglio,

Ti farei cader dal ciglio

Qualche lagrima per me.

È sì barbaro il mio fato,

Che beato io chiamo un core,

Se può dir del suo dolore

La cagione almen qual è. (parte)

 

 

 




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