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Pietro Metastasio Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
6 - A MARIANNA BULGARELLI BENTI - ROMA
Ricevo questa mattina le lettere non solo della presente ma anche della scorsa settimana, e mi sollevo dalla malinconia che nella mancanza di quelle mi avea assalito, pel sospetto che qualche anima pia si fosse impiegata a scemarmi la pena di leggerle prevenendomi alla posta. Vi rendo grazie delle minute notizie che mi date di coteste opere e commedie, e godo che il nostro Ciullo si sia fatto onore. Spero che il posto in cui l'ha fatto impiegare Sua Santità non gli sarà infruttuoso. Avvisatemene, e frattanto salutatelo a mio nome. Oggi è appunto il primo giorno delle maschere, e io son qui a gelarmi. Pure mi trattengo piacevolmente, figurandomi voi impiegata e divertita. In questo momento, che secondo l'orologio di Roma saranno le 21 ore, comincerà la frequenza de' sonagli pel Corso. Ecco il signor canonico de Magistris, che apre l'antiporta. Ecco il signor abate Spinola. Ecco Stanesio. Ecco Cavanna. Ecco tutti i musici di Aliberti. Chi sarà mai quella maschera che guarda tanto le nostre fenestre? Fa un gran tirar di confetti, e non può star ferma. — È certo l'abatino Bizzaccari. — E quel bauttone così lungo che esamina tutte le carrozze, fosse mai il bellissimo Piscitelli? — Certo senza dubbio. — Ecco il conte Mazziotti, che va parlando latino. — Ecco i cortegiani affettati vestiti di carta. — Ma che baronata è mai questa! Quasi tutte le carrozze voltano a San Carlo. — Che cosa è? — Il segno. — Presto. — Viene il bargello. — Venga, signor agente di Genova. — Non importa. — Ma se v'è luogo per tutti? — Vede ella? — Vedo benissimo. — Ma mi pare che stia incomodo. — Mi perdoni, sto da re. — Eccoli, eccoli. — Quanti sono? — Sette. — Chi va innanzi? — Il sauro di Gabrielli, ma Colonna lo passa — Uh, Gesù Maria! — Che è stato? — Una creatura sotto un barbero. — Sarà morta certo. — Povera madre! — Lo portano via? — No, no. Era un cane. — Manco male. — Dica chi vuole, è un gran piacere la forte immaginativa. Io ho veduto il Corso di Roma dalla piazza de' gesuiti di Vienna. Ora, per passare dal ridicolo al burlesco, io sto tormentato al solito dalla mia tossetta, e non mi resta oramai altra speranza che la buona stagione. Ho finito l'Oratorio, che in qualche maniera verrà a Roma subito stampato. Ho parlato all'ambasciatrice di Venezia per la toilette consaputa, ed è rimasta stupita, perché le avevano scritto d'averla consegnata: sentiremo che rispondono alle repliche della medesima. Dalle nevi e dal freddo che soffrite in Roma argomentate quelli di Vienna. Non passa settimana che non si senta qualche povero villano o passeggere sorpreso dal freddo e rimasto morto per le campagne. Qui per la città si cammina sopra tre palmi di ghiaccio cocciuto più delle pietre. La neve poi, che cade continuamente, si stritola e si riduce a tal sottigliezza che vola e si solleva come la polvere dell'agosto. Eppure vi sono delle bestie che vanno in slitta la notte. Io so che per reggermi in piedi ho dovuto far mettere le sole di feltro alle scarpe, perché in quel solo passo indispensabile che debbo fare per montare in carrozza ho dato solennemente il cul per terra, senza danno però della macchina. Insomma conoscendo la lubricità del paese mi son premunito. Voi mi domandate parere di un sonetto d'Ignazio de Bonis che io non ho veduto e non so di che tratti per conseguenza.
Al signor agente di Genova le mie riverenze e ringraziamenti pei saluti che mi ha mandati nelle lettere del segretario della sua Repubblica. Addio N. M., state allegra.