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Pietro Metastasio
Lettere

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36 - A GIOVANNI ADOLFO HASSE - DRESDA

 

Vienna 21 febbraio 1748.

 

Mi congratulo, amatissimo signor Hasse, e con voi e con l'impareggiabile vostra gentilissima consorte, ma non già de' meritati applausi, coi quali ha resa costì giustizia alla eccellenza d'entrambi la pubblica ammirazione al comparire in iscena il mio Demofoonte; dovete aver voi così incallite le orecchie al dolce suono della lode, che lo credo ormai inefficace a solleticarvi. Mi rallegro bensì giustamente con voi di quella considerabile porzione di gloria che dal vostro merito riflette sull'opera mia; sì perché questo avrà appagata l'affetuosa vostra costantissima parzialità, come perché mi figuro la vostra generosa compiacenza nel conoscervi utili agli amici. Io ve ne rendo le più vive e le più sincere grazie non meno che dell'obbligante cura dimostrata nel darmene così minuta contezza, con la quale avete placata in parte l'invidia mia verso coloro che ne sono stati e spettatori ed ascoltanti. Persone che si distinguono a questo segno dal comune degli uomini dovrebbero goder veramente qualche esenzione de' comuni malanni dell'umanità. Ma non entriamo negli arcani della Provvidenza. Spiacemi, amico carissimo, che il calor della disputa, o forse la poco dolce maniera de' contradditori abbia impegnata l'amabilissima signora Faustina a sostenere un'opinione nella quale io non posso esser il suo seguace senza far torto al vero e demeritar la stima di lei medesima, o come poco illuminato o come poco sincero. Come è possibile ch'io dica che un personaggio di condizione privata (almeno tenuto per tale) non debba su la scena ogni segno di rispetto ad altro di reale condizione? Achille è certamente la prima persona nell'opera del suo nome, ma facendo la figura di damigella in corte di Licomede non soffre alcun torto quando, in atto servile, vedendo gli altri a mensa, o suona, o canta, o reca piene le tazze al cenno di Deidamia. La forza, l'importanza e la passione d'una parte la rendono principale: e non mai la corona, lo scettro, il manto, le guardie, i paggi, la diritta o la sinistra. A questi luoghi rifletto così poco, che non penso di situare i personaggi se non al bisogno ed al comodo delle azioni che debbono farsi da loro: ancor che si trovi a sinistra il superiore, preceda d'un picciol passo e sarà nel luogo più degno. È vero che l'ignoranza che ha regnato nel nostro teatro drammatico ha quasi stabilita la diritta come luogo più onorato, ma è vero ancora che non convengono in questo stabilimento né tutti i secoli né tutte le nazioni delle quali s'imitano sul teatro i costumi, e voi sapete che in gondola a Venezia siede a sinistra il più degno. Né io ho voluto servir mai a questo errore, benché comune, quando il secondarlo ha recato il minimo incomodo alla necessaria coecuzione delle azioni. È facile (ancor che non me ne rammenti) ch'io abbia detto che la maniera come io scrivo i personaggi in principio d'ogni scena delle opere mie possa servir di regola a situarli nel teatro; so ch'io ho procurato d'aver questa attenzione nello scrivere i miei originali, ma io son uomo soggetto ad errare, e non si è fatta né pur una impressione delle opere mie me presente, come voi sapete: onde nel caso in cui si tratta, parlando così chiaramente la natura dell'imitazione, prima che credermi contrario a questa era giusto o di perdonarmi come ad uomo distratto, o a compatirmi come sfortunato nella impressione: caro amico, voi conoscete il mio core, e sapete quanto è vostro, onde intendete senza ch'io lo spieghi sino a qual segno mi dolga il dovere dissentire da voi.

Pregate la signora Faustina di darmi occasione onde ricompensarmi un così sensibile rammarico, e credetemi.

 

 




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