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Pietro Metastasio
Lettere

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90 - A LEOPOLDO TRAPASSI - ROMA

 

Vienna 10 marzo 1760.

 

Dalla gratissima vostra del 23 dello scorso febbraio comprendo che il vostro amor fraterno vi tiene tuttavia immerso nel lavoro istorico della mia vita: cura che mi consola eccessivamente nella considerazione della sua sorgente, ma che non lascia di tenermi sollecito e sospeso nel timore che a voi ne derivi la taccia d'una cieca parzialità ed a me quella d'una filauzia condannabile. Aggiungete a tutto ciò che il mondo non è persuaso che sia cosa lodevole l'aggravar la memoria degli uomini delle fanfaluche d'un povero privato, al quale la Provvidenza non ha commesso il ministero d'alcuna delle insigni sue beneficenze. Io, per non esser di mero peso alla società, ho procurato, è vero, a proporzione delle mie forze e del mio limitato sapere, di far servire tutte le veneri poetiche a render famigliare e caro al popolo il giusto e l'onesto; ma tutta questa mia dovuta cura di buon cittadino (oltre il dubbio del suo frutto) non è di quell'ordine che meriti luogo distinto fra le vicende comuni. Pensatevi seriamente, e siate persuaso che la sospensione del vostro lavoro non iscemerà punto in me quella grata tenerezza che il solo averlo intrapreso mi ha giustamente cagionato.

De' tre anni di cui mi richiedete non posso dirvi altro se non che cessarono affatto in essi gli studi miei poetici, che la giurisprudenza e i classici greci erano allora le mie prescritte occupazioni, oltre la pratica del vostro Foro ch'esercitai nello studio e sotto la direzione del defunto pontefice Lambertini allora avvocato concistoriale, siccome in una udienza (se mal non mi ricordo) egli stesso affettuosamente vi disse. Non vi son nuove guerriere, ma non ne saremo lungo tempo digiuni, se l'ispido inverno non si ostina ad usurpare i dritti della primavera. Addio. Abbracciate per me la sorella, conservatevi e credetemi.

 

 

 




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