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Pietro Metastasio Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
120 - AL CAPITANO COSIMELLI - BISTRITZ
La vostra lettera del 25 dello scorso aprile, amatissimo mio signor Cosimelli, è così piena di buon senso che mi convince ad evidenza che voi non avete punto bisogno de' consigli che dimandate. Chi vi stimola a scrivere ha ben ragion di farlo, e voi non ne avete meno, se, consapevole delle vostre forze, vi sentite inspirato a non lasciarle inutili ed a non trascurar quella gloria che potrebbero procurarvi. Vi spaventano con egual ragione la vostra affaccendatissima situazione e la total mancanza d'ogni istrumento e commercio letterario ma, oltreché il celebrato poemetto è una dimostrazione che il vostro vigore è maggiore d'ogni difficoltà, si potria scemare in parte la seconda col fornirvi d'alcun poeta latino che giovi ad eccitar le vostre reminiscenze. S'io non conoscessi a qual segno voi siete delicato sull'adempimento de' vostri doveri, l'unico scrupolo che mi tormenterebbe nel confortarvi all'impresa sarebbe il pericolo che le lusinghe delle Muse non vi seducessero a defraudar di qualche parte della vostra attenzione quell'onorato mestiere che per concorde universale approvazione così lodevolmente esercitate, e che dovrà pure una volta produrvi i meritati vantaggi. Ma il vostro carattere mi difende da questo timore: onde parliam del soggetto.
Questo, come voi ottimamente pensate, dee assolutamente risentirsi della vostra professione; ma il Ciel vi guardi di far un poema didascalico; con una tale pedantesca materia diverrebbe noioso Virgilio: convien bene che vi siano dei tratti che palesino la perizia dello scrittore, ma questo non convien mai che assuma l'importuna qualità di maestro. Qualche particolare evoluzione, maneggio d'armi, scelta di sito, fortificazione, assalto, ritirata o stratagemma lucidamente descritto per occasione e necessità del principal racconto, potrà far bastantemente conoscere la scienza militare del poeta narratore. Una delle illustri vittorie del principe Eugenio (purché non sia quella di Belgrado, che farebbe pensare i lettori alle nostre più recenti vergogne) mi piacerebbe assaissimo, come, per cagion d'esempio, quella di Zenta. Ma questa approverei che fosse favoleggiata, per evitar la supina semplicità d'un secco racconto e non restringere ad un solo limitato oggetto la fantasia dell'autore; intendendo per altro che il favoleggiamento non alterasse punto l'istorica verità. E come fareste voi, mi direte, ad accozzar la favola e la verità? Mi varrei dell'invenzione nella cornice e della verità nel quadro. Ma in qual guisa? Oh, caro signor Cosimelli, per inventare convien pensare, e nel tempo che si scrive una lettera non vi è spazio per le meditazioni. Pure, per farvi vedere che non è l'impresa malagevole quanto la quadratura del circolo, eccovi dove così alla disperata mi appiglierei, se fossi costretto senza altro indugio ad incominciare in questo istante il mio poema. Io mi fingerei, per cagion d'esempio, o alla caccia, o in viaggio, ne' contorni del sito in cui è succeduta l'azione che mi fossi proposto di raccontare. Assalito e sorpreso o da una truppa di malandrini, o da un temporalaccio diabolico, o dall'uno e l'altro insieme, nel cercar ricovero o nel perseguitar gli assalitori mi inoltrerei inavvedutamente in un foltissimo bosco, dove, perduti i compagni, sarei colto da una oscurissima notte senza saper dov'io mi fossi. Mentre io dispero un asilo, un languido lontano lumicino o il latrato di qualche cane m'avvertirebbe di alcun vicino abitante: condotto dai suddetti segni giungerei ad un selvaggio tugurio, nel quale sarei cortesemente accolto da un vecchio ufficioso villano. La strana mistura che osserverei nel rustico ma ordinato soggiorno di marziali e pastorali strumenti mi spingerebbe a chiederne la cagione, e mi sarebbe risposto che degli ultimi faceva uso presentemente e de' primi l'aveva fatto nella sua gioventù, essendo egli un gentiluomo, tanto una volta vago del mestiere dell'armi quanto ora di questa innocente e tranquilla vita che già da molti anni menava. Dimandato in qual contorno io fossi, mi sarebbe detto da lui non esser lontano il sito dove riportò il principe Eugenio la tale o tal altra celebre vittoria, nella quale era stato ancor egli impiegato militando allora sotto il comando di così gran capitano. Or vedete come io sarei già provveduto d'un personaggio che potrebbe condurmi per tutto e di tutto minutamente istruirmi; anzi (se il poema crescesse di mole e dovesse dividersi in piccioli canti) potrebbe fornirmi occasioni per poetici episodi, con le descrizioni delle rustiche sue cordiali mense, di alcuna sua villereccia occupazione, coi prudenti di lui morali ragionamenti sulla filosofica tranquillità della vita da lui eletta, e con mille altri ridenti oggetti favoriti della poesia.
Il mio demonio drammatico, nel ruminar questo improvviso disegno, già mi suggerirebbe le fila per formarne la tela d'una favola teatrale. Mi dice che nel mio cimento fra masnadieri potrei figurare d'essere stato soccorso da persona incognita e valorosa, accorsa improvvisamente fra le tenebre della notte in mia difesa, e che questa dopo avermi veduto in sicuro si fosse da me dileguata senza scoprirsi; che il mio vecchio ospite avesse presso di sé una figlia giovanetta, bella quanto le Grazie, e che, mercé la paterna educazione, trasparisse in lei, fra l'umiltà delle vesti e degli esercizi suoi, tutta la gentilezza della sua nobile origine; che il modesto, grazioso e cortese contegno di questa, aggiunto al pregio d'avere un padre così degno, m'inspirasse tanto amore insieme e tanto rispetto ch'io mi risolvessi a procurarne un legittimo acquisto; che prima di farne la dovuta dimanda io volessi scoprir l'animo della donzella palesandole il mio: ch'ella alle mie dichiarazioni rimanesse muta per lungo tempo, e che finalmente con gli occhi pregni di lagrime mi rispondesse ch'ella conosceva i meriti miei, e che l'onore che a lei faceva la mia scelta esigeva almeno in corrispondenza una sincera confessione; e che soggiungesse poi (sempre piangendo) essere il suo cuore preoccupato dalle amabili qualità d'un giovane soldato, d'anima, di sembiante e di costumi adorabile, e che il suo genitore pensando forse ad altro stabilimento per lei, ed incerto della condizione del suddetto, l'avea negata a lui, ed imposto ad essa di mai più accoglierlo o parlargli. Io, trafitto dall'esclusiva ed obbligato insieme dall'innocente e candida confidenza, desidererei di conoscere almeno il mio rivale. Per mezzo di qualche opportuno e verisimile accidente teatrale giungerei ad appagarmi, e troverei esser egli un mio acerbissimo ereditario nemico per antiche dissensioni di famiglie, ed esser quel medesimo che, conoscendomi, era accorso alla mia difesa nel bosco. Sorpreso dalla virtuosa azione del mio nemico, quanto intenerito per la giusta ma sventurata passione dell'innamorata donzella, mi proporrei di ottenere ed otterrei il consenso del padre alle loro nozze, informandolo del nobile ed opulento stato non men che dell'eroica generosità del mio rivale. Onde rimarrebbe lieto il vecchio del doppio acquisto d'un genero e d'un amico, gli amanti della felice catastrofe de' loro amori, ed io della compiacenza di me medesimo, ritrovandomi capace di saper sacrificare una mia violenta passione ai doveri dell'umanità e della gratitudine. Senza che io ve ne avverta, già vedete che, trattandosi d'un dramma, quell'io dovrebbe essere un Alfonso, un Fernando, un Enrico o qualunque altro nome si volesse. Ma tutto questo sogno ch'io vado facendo ad occhi aperti scrivendovi, non varrebbe un fico per voi, che non pensate a teatro; anzi con questo il vostro quadro sarebbe miseramente soffocato da' fogliami della cornice, inconveniente contro il quale dovete voi esser sempre attentamente in guardia, ancorché sceglieste d'imitar con la vostra invenzione quella che ho incominciata da bel principio ad esporvi, prima che mi tentasse il demonio. Vagliano almeno queste ciance ad eccitar la fermentazione della vostra immaginativa.
Quando si scrive in fretta si accettano le prime idee che si presentano, che non son sempre le più commendabili. Io vi ho avvertito qui sopra di guardarvi dallo scegliere per vostro soggetto la vittoria di Belgrado; ed ora, ripensandovi sopra, mi si presenta come il più grande di tutti. La situazione d'un esercito assediante, una piazza difesa da ventimila giannizzeri, e che si trova tra due fiumi esso stesso assediato da quasi duecentomila musulmani che sopraggiungono; che non essendo composto che di quarantamila combattenti al più, va considerabilmente ogni giorno scemando per le infermità, i disagi e il doppio fuoco de' nemici; il giusto abbattimento di quasi tutti gli ufficiali, non che de' soldati; la costernazione della reggia; i palpiti di tutta la cristianità; l'imperturbabile, fra tanti oggetti di spavento, eroica costanza del capitano, e la sua finalmente solenne compiuta strepitosissima vittoria, che cambia in un istante la pubblica desolazione in giubilo trionfale, parmi un soggetto fornito di tutto il grande, di tutto l'interessante e di tutto l'inaspettato che possa mai desiderarsi. Se mai vi sentiste allettato a sceglierlo quanto io lo sarei, potrete difendervi dalla difficoltà che mi si presentò dal bel principio coll'esempio del gran Torquato, la di cui Gerusalemme, ch'egli cantò liberata, in breve giro d'anni ricadde, come il nostro Belgrado, nelle mani degl'infedeli. Mi pare di sentirvi esclamare: — Oh che gran chiacchierone! — Voi non avete torto, benché la maggior parte della colpa sia vostra, che mi andate stuzzicando. Dovreste pur sapere che cotesto difetto è un malanno dell'età mia, e che non a caso si finse che il vecchio Titone fosse al fin trasformato in cicala.
Addio, caro signor Cosimelli. Riamatemi, e credetemi veracemente.