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Pietro Metastasio
Lettere

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A MARIANNA BULGARELLI BENTI - ROMA

 

Vienna 6 giugno 1733.

 

Ho passata la metà del terzo atto della mia prima opera, onde sabato che viene spero di potervi scrivere d'averla finita. Ma quando sarà che sia terminata anche l'altra, alla quale non ho né pur pensato? E pure al fin d'agosto bisognerebbe che fosse. Auguratemi salute e pazienza, che tutto anderà bene. Con tutta la mia assidua applicazione, e la stagione ben poco favorevole, io mi son quasi affatto rimesso: dico quasi, perché di quando in quando la testa non vuole stare a segno, effetto senza dubbio del poco che si traspira per cagione dell'aria umida e fresca che qui pertinacemente dura. Ed io, quanto già in Italia provava nemico il calore, altrettanto in Germania esperimento nocivo il freddo: tanto fa variar natura la variazione del clima. Io non lo sento solo in questo; le pruove continue di tolleranza alle quali io presentemente sto saldo, non sono certamente miei pregi naturali. Conosco che la tardità di quest'aria si comunica agli spiriti e ne scema la soverchia prontezza.

Eccovi un sonetto morale, scritto da me nel mezzo d'una scena patetica che mi moveva gli affetti, onde ridendomi di me stesso che mi ritrovai gli occhi umidi per la pietà d'un accidente inventato da me, feci l'argomento ed il discorso nella mia mente che leggerete nel sonetto. Il pensiero non mi dispiacque e non volli perderlo tanto più che serve per argomento della mia esemplare pietà. Leggetelo, e se vi pare, fatelo leggere. Dopo averlo composto mi è venuto a solito uno scrupolo, ed è che l'undecimo ed il decimo verso spieghino una proposizione troppo generale dicendo

 

... ma quanto temo o spero

tutto è menzogna...

 

E non vorrei che un seccapolmoni potesse dirmi: «Non temete voi l'inferno? Non isperate voi in Dio benedetto? Or Dio benedetto e l'inferno sono a parer vostro menzogne?». È vero ch'io potrei rispondergli: «Signor Pinca mia da seme, lo so meglio di voi, che Dio e l'Inferno sono verità infallibili, e se non fosse questa la mia credenza, non mi raccomanderei a Dio come faccio nella chiusa: e le speranze ed i timori, di cui si parla nel sonetto, sono quelli che procedono dagli oggetti terreni». Vedete che la risposta è assai solida, ed il contravveleno si ritrova nel sonetto medesimo. Nulla di manco ho voluto mutare l'undecimo verso per meglio spiegare di quali timori e speranze m’intendo di parlare. L'ho cambiato, l'ho fatto sentire, e trovo che non solo a me, ma a tutti gli altri ancora piace più la prima maniera, ed in quella ve lo scrivo, aggiungendo nel fine del sonetto il verso mutato, per vostra soddisfazione, e per poter contentare alcuno che vi trovasse le difficoltà mie. Leggetelo e ditemene il vostro parere, senza tacermi quello del nostro monsignor Nicolini, che mi fa molto peso dopo quella dispendiosa legatura.

Saluto tutti di casa, ed a voi raccomando il vostro N. N. M., addio.

 

 




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