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Pietro Metastasio Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
ALLA CONTESSA DI SANGRO - NAPOLI
Mi onora a tal segno e solletica in guisa tale la mia vanità il suo desiderio di mie lettere provato dalla ingiusta accusa di negligenza che Vostra Eccellenza mi ripete nel veneratissimo suo foglio del 7 del caduto marzo, che (potendolo con somma facilità) io trascuro a bello studio di difendermi, anzi le rendo vive e sincerissime grazie d'un'ingiustizia di cui son superbo. La moderazione poi con la quale ella riguarda ciò che scrive non è misura del giusto pregio in cui tengo la sua eloquenza, nella quale ritrovo tutti i caratteri di una bella mente non contaminata dalla pedanteria. Ed io sono molto più contento di quelle amenità che somministra ad alcuni suoi favoriti terreni la maestra ed industriosa natura, che di tutti i parterri e bersò e di mille altre ridicole invenzioni che intraprendono d'adornarla e la disfigurano. Volesse il Cielo, riverita mia signora contessa, che le mie indisposizioni fossero solamente morali! contro di tali morbi io ho farmachi potentissimi, e sarei indegno di vivere se, avendoli tanto praticati nei versi miei, fossi poi così poco atto a farne uso ne' miei bisogni. Non mi creda così fanciullo. La teorica e la pratica delle vicende umane non mi hanno lasciato per esse se non se quella sensibilità che esse meritano. Ho abbastanza esaminato il di dietro del teatro, e so assai bene quanto sconce, sudice e puzzolente siano quelle tele medesime che rapiscono di piacere e meraviglia la credula e ingannata platea: ma tutta questa pratica dottrina, avvalorata dalle più solide massime di Zenone, di Crisippo, di Seneca e di Epitteto, non vale un fico contro gli incomodi fisici che, mercé del suo cattivo alloggio, tormentano questa povera animetta, mal difesa dalla pioggia, dal vento, e da tutte le inclemenze delle alterne stagioni. Quei buoni antichi, che credevano permesso di loggiarne a lor posta, aveano pur un ricorso; ma noi più illuminati di loro convien che fissiamo gli occhi nell'immortalità, della quale oltre l'autorità e la tradizione io trovo un grande argomento nelle nostre miserie medesime. Poiché non saprei come immaginarmi che l'Eterna Provvidenza avesse creata sì bella cosa, quale è l'anima nostra, unicamente per incepparla fra le imperfezioni di questa nostra fragile ed infelice macchinetta... Ma non predichiamo.
Temo pur troppo che la Palinodia sia giunta a Napoli prima di questa che le invio: ma non è mia colpa. Vostra Eccellenza sa a chi e perché ho dovuto darla. Per compenso della tardanza eccole la musica della medesima: cosa rara a' tempi nostri essendo musica d'un poeta. Ho sentito con somma pena l'incomodo dell'eccellentissimo signor conte suo consorte, cui dopo aver fatte le mie riverenze la priego dimandar se la filosofia è buona contro i dolori colici. E dalla sua risposta si regoli nel giudicar de' miei malanni, ma la carta manca: onde pieno di vero rispetto mi ripeto.