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Pietro Metastasio
Lettere

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XLVII

 

A NICCOLÒ JOMMELLI - ROMA

 

Vienna 8 aprile 1750.

 

Oggi sarò breve, se potrà riuscirmi con voi. Ne ho certo gran bisogno perché ho gran penuria di tempo. Io sono di quei poveri goccioloni destinati a dover fare sempre quello che men vorrebbero. Mi piacerebbe verbigrazia di trattenermi col mio Jomella, e sono condannato a rispondere a tutti i ranocchi di Parnaso, che domandano per lo più correzioni per esigere panegirici: a cento indiscreti che mi prendono senza conoscermi per loro commissario generale. Or mi trovo assediato da musici, che pieni di buona fede credono ch'io possa far di ciascun di loro un Roscio Amerino solamente per manuum impositionem: ora uccellato da altri, che protestano lo stesso, credendo tutto il contrario e procurando di guadagnare il mio voto con questa simulata umiltà, alla quale mi suppongono per buona grazia loro puerilmente sensibile. Oggi si celebra il nome del conte; dimani la nascita della marchesa; torna quell'amico, bisogna correr col benvenuto; parte quell'altro, bisogna augurar buon viaggio; mademoiselle si sposa e si congratula; madama è di parto e si trotta. Un ministro è promosso ad maiora: un altro si fa applicar un cristiere, proficiat: insomma fra queste incomode inezie, che si chiamano uffici civili, fra l'andare, il venire, le riverenze, i complimenti, le offerte, le proteste, e molte altre gentilissime maniere di rompersi scambievolmente il più bel di Roma, ci troviamo al fine della settimana stanchi, rifiniti, senza aver fatto cosa alcuna. Veramente io strasecolo, quando rifletto che ci è così cara la vita, e ne perdiamo la più gran parte. Ma voi siete pure il gran cicalone! Venghiamo una volta a noi. Mi rallegro con chi vi ha resa in Roma giustizia e con eleggervi alla direzione dell'armonico Vaticano e con esentarvi dalle leggi comuni. Facendo altrimenti avrebbe fatto maggior torto al suo giudizio che a voi. Vorrei che i comodi corrispondessero al decoro, e che né questo né quelli s'opponessero alle mie speranze di rivedervi, d'abbracciarvi e di trovarmi altre volte con voi alle nozze del piacere con la ragione, che nelle note degli altri stanno quasi sempre in discordia. Basta: voi sapete le mie regolette morali d'approfittarmi quanto l'onestà permette del presente e di sperar sempre bene del futuro. Onde godo de' vostri vantaggi e non dispero de' miei. Addio.

 

 




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